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APPROFONDIMENTI

L’astronauta Worden: siamo noi gli alieni, veniamo da lassù

1 Ottobre 2019adminAPPROFONDIMENTI1105

L’astronauta Worden: siamo noi gli alieni, veniamo da lassù

da Libre – “Siamo noi, gli alieni: da dove credete che veniamo”? Il colonnello Al Worden (nella foto sopra), astronauta dell’Apollo 15 e detentore di numerosi record, non ha atteso le clamorose ammissioni dell’Us Navy sugli Ufo per stupire il pubblico. Ci aveva pensato già nel settembre del 2017, rilasciando in televisione una dichiarazione pubblica “sconcertante e, come sempre, passata sotto il totale silenzio dei media internazionali”, scrive l’antropologo Enrico Baccarini, documentarista della “Bbc” e direttore della rivista “Archeomisteri”. Appassionato studioso delle antiche civiltà indiane e autore di svariati saggi, Baccarini appartiene – come Graham Hancock – alla corrente di pensiero che rivaluta i testi dell’antichità: non libri “sacri”, ma cronistorie attendibili che narrano le avventure di quelli che, a tutti gli effetti, sembrano essere antichi astronauti. E ora ci si mette anche la Nasa, che ha editato il saggio “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”: secondo il curatore, Douglas Vakoch, è possibile che i nostri antenati abbiano scambiato per “divinità” quei misteriosi visitatori. Il primo a crederci è proprio un veterano dello spazio come Worden: secondo cui, addirittura, gli alieni saremmo noi. Tecnicamente: discendenti di antichi “profughi” cosmici.
Alfred Merril Worden (nato Jackson, in Mississippi, il 7 febbraio 1932) è un celebre astronauta statunitense /nella foto a lato). Fu il pilota del modulo di comando per la missione lunare Apollo 15 nei mesi di luglio e agosto 1971, ricorda Baccarini sil suo sito. Proprio il colonnello Worden fu uno dei 19 astronauti scelti dalla Nasa nell’aprile 1966. Servì come membro dell’equipaggio di supporto della missione Apollo 9 e come pilota comandante del modulo di comando di riserva della missione Apollo 12. Pilotò anche il modulo di comando per l’Apollo 15, dal 26 luglio al 7 agosto 1971. I suoi compagni di volo furono David Scott, comandante del veicolo, e James Irwin, comandante del modulo lunare. Secondo la Nasa, l’Apollo 15 fu la quarta missione con equipaggio a metter piede sul suolo lunare e la prima ad esplorare il Ruscello di Hadley e i Monti Appennini, situati sul bordo sud-est del Mare Imbrium, spazio ora desertico del satellite naturale della Terrra. Per Baccarini, Warden è “una figura di tutto rispetto”. Come ingegnere aeronautico e astronauta della Nasa, “ha vissuto una vita addentrandosi ad avere una mente razionale e scientifica, ma ancor più a vagliare e analizzare ogni informazione prima di parlare”.
Cos’ha detto, due anni fa, a proposito delle nostre origini?
“Siamo noi gli alieni: pensiamo che sia qualcun altro, e invece siamo noi quelli che sono venuti da qualche altra parte”. Quello che Warden evoca è una specie di esodo spaziale: partiti da chissà dove, dice, i nostri progenitori arrivarono sulla Terra perché qualcuno di loro doveva pur sopravvivere.
“Sono saliti su un piccolo veicolo spaziale e sono venuti qui, sono atterrati e hanno iniziato la civiltà qui: questo è quello che credo”. Insiste l’astronauta: “Se non mi credete, andate a prendere i libri sugli antichi Sumeri e vedete cosa avevano da dire al riguardo, ve lo diranno subito”.
L’allusione è alla sumerologia, resa popolare dai saggi divulgativi di Zecharia Sitchin: le tavolette mesopotamiche raccontano lo sbarco sulla Terra dei potenti Anunna, o Anunnaki, che poi ibridarono il loro Dna con quello degli ominidi, per dare origine all’homo sapiens. Nell’intervista, rilasciata a “Good Morning Britain” sulla rete inglese “Itv”, Worden sostiene apertamente che gli umani sono i discendenti da una razza extraterrestre legata agli antichi astronauti e che, per varie ragioni, si sono fermati nel nostro pianeta dando inizio alla nostra specie e detenendo un ruolo chiave nell’evoluzione della civiltà umana.

La verità è nelle tavolette sumere
In più, Worden consiglia di leggere gli antichi testi sumerici per avere una chiara idea di quanto detto.
“Cosa poter aggiungere? Si tratta del delirio senile di un astronauta? Non pensiamo proprio – scrive Baccarini -. Anzi: riteniamo che queste affermazioni debbano essere prese con la giusta importanza che meritano”.
La teoria degli antichi astronauti, detta anche paleocontatto o paleoastronautica, è quell’insieme di teorie che ipotizzano un contatto tra civiltà extraterrestri e antiche civiltà umane, quali sumeri, egizi, popoli dell’India antica e civiltà precolombiane. Questa teoria, ricorda Baccarini, iniziò a diffondersi verso la fine degli anni ’50, quando giornalisti e studiosi di varie estrazioni iniziarono a ipotizzare che, nel remoto passato del nostro pianeta, una o più civiltà altamente progredite e provenienti dallo spazio esterno avessero interagito con noi, e forse in certi casi letteralmente “creato” la nostra specie. A distanza di quasi settant’anni – aggiunge Baccarini – questo campo di studi è riuscito a collezionare una serie di evidenze ed elementi tali da non lasciare altre possibilità interpretative, al riguardo.
Le affermazioni di Al Worden non sono certamente le prime e non saranno le ultime: Baccarini ricorda quelle dell’astronauta Edgar Mitchell, scomparso nel 2016. Otto anni prima, in un’intervista radiofonica, aveva dichiarato: “Da ambienti militari e governativi sono venuto a conoscenza del fatto che il fenomeno Ufo è reale, che ci sono stati contatti tra esseri umani ed esseri extraterrestri, e che questi contatti sono tuttora in corso”. Né Warden né Mitchell ci portano alla “pistola fumante” per confermare definitivamente questa costellazioni di tesi, ammette Baccarini. Ma, provenendo da fonti così autorevoli, queste affermazioni “non possono certamente essere prese sotto gamba”. Peraltro, “risultano sintomatiche di una linea di pensiero che, di giorno in giorno, sembra acquisire sempre più fautori”. Uno degli aspetti più interessanti investe anche la reinterpretazione delle testimonienze archeologiche: alcune figure umanoidi, inicise nella roccia, sembrano indossare tute e caschi. Potrebbe essere che antichi astronauti extraterrestri abbiano visitato il nostro pianeta in un remoto passato e ritenuti dai nostri antenati come divinità discese dal cielo? Secondo “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”, pubblicato dalla Nasa, l’antica arte rupestre potrebbe essere il segno delle loro visite passate.
Alcuni dei capitoli più interessanti – segnala sempre Baccarini – trattano il tema della comunicazione extraterrestre nel passato.
“In una sezione, ad esempio, il professor William Edmondson, dell’Università di Birmingham, considera la possibilità che alcune raffigurazioni di arte rupestre sulla Terra possano essere di origine extraterrestre”. In realtà, aggiunge Edmondson, non abbiamo certezze: “Possiamo dire poco su ciò che significano queste raffigurazioni, sul perchè siano state incise nella roccia o su chi le abbia create”. Addirittura, aggiunge il professore, “potrebbero essere state fatte degli alieni a tutti gli effetti”.
Come riporta il “Daily Mail”, la pubblicazione affronta una serie di argomenti con l’intervento di numerosi esperti, tra cui la prospettiva di vita su altri pianeti e gli strumenti attraverso i quali inviare o ricevere messaggi. Il curatore, Douglas Vakoch, da parte sua parla delle difficoltà che potrebbero sorgere a seguito di un primo contatto con una civiltà aliena: “Da segnali radio – dice – potremmo intuire l’esistenza di un’intelligenza, ma non potremmo capire cosa dico. Anche se rilevassimo una civiltà in uno dei sistemi stellari più vicini, i loro segnali dovrebbero attraversare migliaia di miliardi di chilometri, raggiungendo la Terra dopo molto tempo”. Ma la speranza non è perduta: in tutto il libro, Vakoch e colleghi cercano di offrire soluzioni concrete che possano rivelarsi preziose per il futuro.
“Per andare oltre la semplice individuazione di tale intelligenza e avere qualche possibilità realistica di comprenderla, possiamo prendere esempio da ricercatori che affrontano sfide simili sulla Terra – continua Vakoch -, come gli archeologi che ricostruiscono la storia di civiltà del passato da informazioni frammentarie, così dovranno fare i ricercatori del Seti per comprendere civiltà lontane da noi, separate da vaste distese di spazio e tempo”. Il Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) è un progetto finanziato dalla Nasa dal lontano 1971. Missione: rilevare la presenza di vita intelligente nello spazio oltre la Terra. A quanto pare sono stati fatti passi da gigante, in questa direzione, se è vero che l’astronauta Edgar Mitchell parla di contatti stabili e regolari con entità aliene. Nel suo libro, Vakoch (Nasa) resta sul vago, è vero. In compenso, Al Worden sostiene che i discendenti degli alieni siamo noi. Affermazioni destabilizzanti, ovviamente, fino a ieri sostanzialmente ignorate dai grandi media. Ora invece è il Pentagono a rifarsi avanti: per suggerirci – sia pure a piccole dosi – che tra noi e gli equipaggi degli Ufo c’è probabilmente una lunga storia, che forse sta per essere raccontata.

Noi siamo figli degli alieni e dell’homo sapiens
“Siamo noi, gli alieni: da dove credete che veniamo”? Il colonnello Al Worden, astronauta dell’Apollo 15 e detentore di numerosi record, non ha atteso le clamorose ammissioni dell’Us Navy sugli Ufo per stupire il pubblico. Ci aveva pensato già nel settembre del 2017, rilasciando in televisione una dichiarazione pubblica «sconcertante e, come sempre, passata sotto il totale silenzio dei media internazionali», scrive l’antropologo Enrico Baccarini, documentarista della “Bbc” e direttore della rivista “Archeomisteri”. Appassionato studioso delle antiche civiltà indiane e autore di svariati saggi, Baccarini appartiene – come Graham Hancock – alla corrente di pensiero che rivaluta i testi dell’antichità: non libri “sacri”, ma cronistorie attendibili che narrano le avventure di quelli che, a tutti gli effetti, sembrano essere antichi astronauti. E ora ci si mette anche la Nasa, che ha editato il saggio “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”: secondo il curatore, Douglas Vakoch, è possibile che i nostri antenati abbiano scambiato per “divinità” quei misteriosi visitatori. Il primo a crederci è proprio un veterano dello spazio come Worden: secondo cui, addirittura, gli alieni saremmo noi. Tecnicamente: discendenti di antichi “profughi” cosmici.
Alfred Merril Worden (nato Jackson, in Mississippi, il 7 febbraio 1932) è un celebre astronauta statunitense. Fu il pilota del modulo di comando per la missione lunare Apollo 15 nei mesi di luglio e agosto 1971, ricorda Baccarini sul suo sito. Proprio il colonnello Worden fu uno dei 19 astronauti scelti dalla Nasa nell’aprile 1966. Servì come membro dell’equipaggio di supporto della missione Apollo 9 e come pilota comandante del modulo di comando di riserva della missione Apollo 12. Pilotò anche il modulo di comando per l’Apollo 15, dal 26 luglio al 7 agosto 1971. I suoi compagni di volo furono David Scott, comandante del veicolo, e James Irwin, comandante del modulo lunare. Secondo la Nasa, l’Apollo 15 fu la quarta missione con equipaggio a metter piede sul suolo lunare e la prima ad esplorare il Ruscello di Hadley e i Monti Appennini, situati sul bordo sud-est del Mare Imbrium, spazio ora desertico del satellite naturale della Terrra. Per Baccarini, Worden è «una figura di tutto rispetto». Come ingegnere aeronautico e astronauta della Nasa, «ha vissuto una vita addentrandosi ad avere una mente razionale e scientifica, ma ancor più a vagliare e analizzare ogni informazione prima di “parlare”».
Cos’ha detto, due anni fa, a proposito delle nostre origini? “Siamo noi gli alieni: pensiamo che sia qualcun altro, e invece siamo noi quelli che sono venuti da qualche altra parte”. Quello che Worden evoca è una specie di esodo spaziale: partiti da chissà dove, dice, i nostri progenitori arrivarono sulla Terra perché qualcuno di loro doveva pur sopravvivere. “Sono saliti su un piccolo veicolo spaziale e sono venuti qui, sono atterrati e hanno iniziato la civiltà qui: questo è quello che credo”. Insiste l’astronauta: «Se non mi credete, andate a prendere i libri sugli antichi Sumeri e vedete cosa avevano da dire al riguardo, ve lo diranno subito». L’allusione è alla sumerologia, resa popolare dai saggi divulgativi di Zecharia Sitchin: le tavolette mesopotamiche raccontano lo sbarco sulla Terra dei potenti Anunna, o Anunnaki, che poi ibridarono il loro Dna con quello degli ominidi, per dare origine all’homo sapiens. Nell’intervista, rilasciata a “Good Morning Britain” sulla rete inglese “Itv”, Worden sostiene apertamente che gli umani sono i discendenti da una razza extraterrestre legata agli antichi astronauti e che, per varie ragioni, si sono fermati nel nostro pianeta dando inizio alla nostra specie e detenendo un ruolo chiave nell’evoluzione della civiltà umana.

Contatti tra umani e alieni
In più, Worden consiglia di leggere gli antichi testi sumerici per avere una chiara idea di quanto detto. “Cosa poter aggiungere? Si tratta del delirio senile di un astronauta? Non pensiamo proprio – scrive Baccarini -, anzi: riteniamo che queste affermazioni debbano essere prese con la giusta importanza che meritano”. La teoria degli antichi astronauti, detta anche paleocontatto o paleoastronautica, è quell’insieme di teorie che ipotizzano un contatto tra civiltà extraterrestri e antiche civiltà umane, quali sumeri, egizi, popoli dell’India antica e civiltà precolombiane. “Questa teoria – ricorda Baccarini – iniziò a diffondersi verso la fine degli anni ’50, quando giornalisti e studiosi di varie estrazioni iniziarono a ipotizzare che, nel remoto passato del nostro pianeta, una o più civiltà altamente progredite e provenienti dallo spazio esterno avessero interagito con noi, e forse in certi casi letteralmente creato la nostra specie. A distanza di quasi settant’anni – aggiunge Baccarini – questo campo di studi è riuscito a collezionare una serie di evidenze ed elementi tali da non lasciare altre possibilità interpretative, al riguardo”.
Le affermazioni di Al Worden non sono certamente le prime e non saranno le ultime: Baccarini ricorda quelle dell’astronauta Edgar Mitchell, scomparso nel 2016. Otto anni prima, in un’intervista radiofonica, aveva dichiarato: “Da ambienti militari e governativi sono venuto a conoscenza del fatto che il fenomeno Ufo è reale, che ci sono stati contatti tra esseri umani ed esseri extraterrestri, e che questi contatti sono tuttora in corso”. Né Worden né Mitchell ci portano alla “pistola fumante” per confermare definitivamente questa costellazioni di tesi, ammette Baccarini. Ma, provenendo da fonti così autorevoli, queste affermazioni “non possono certamente essere prese sotto gamba”. Peraltro, “risultano sintomatiche di una linea di pensiero che, di giorno in giorno, sembra acquisire sempre più fautori”. Uno degli aspetti più interessanti investe anche la reinterpretazione delle testimonianze archeologiche: alcune figure umanoidi, incise nella roccia, sembrano indossare tute e caschi.

Dio è un Re astronauta?
Esiste la possibilità che antichi astronauti extraterrestri abbiano visitato il nostro pianeta in un remoto passato? I nostri antenati li hanno scambiati per divinità discese dal cielo? Secondo “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”, pubblicato dalla Nasa, l’antica arte rupestre potrebbe essere il segno delle loro visite passate.
“Alcuni dei capitoli più interessanti – segnala sempre Baccarini – trattano il tema della comunicazione extraterrestre nel passato. In una sezione, ad esempio, il professor William Edmondson, dell’Università di Birmingham, considera la possibilità che alcune raffigurazioni di arte rupestre sulla Terra possano essere di origine extraterrestre”.
“In realtà – aggiunge Edmondson – non abbiamo certezze: possiamo dire poco su ciò che significano queste raffigurazioni, sul perché siano state incise nella roccia o su chi le abbia create. Addirittura, aggiunge il professore, “potrebbero essere state fatte degli alieni a tutti gli effetti”.
Come riporta il “Daily Mail”, la pubblicazione affronta una serie di argomenti con l’intervento di numerosi esperti, tra cui la prospettiva di vita su altri pianeti e gli strumenti attraverso i quali inviare o ricevere messaggi. Il curatore, Douglas Vakoch, da parte sua parla delle difficoltà che potrebbero sorgere a seguito di un primo contatto con una civiltà aliena: da segnali radio, dice: “Potremmo intuire l’esistenza di un’intelligenza, ma non potremmo capire cosa dico. Anche se rilevassimo una civiltà in uno dei sistemi stellari più vicini, i loro segnali dovrebbero attraversare migliaia di miliardi di chilometri, raggiungendo la Terra dopo molto tempo”.
Ma la speranza non è perduta: in tutto il libro, Vakoch e colleghi cercano di offrire soluzioni concrete che possano rivelarsi preziose per il futuro.
“Per andare oltre la semplice individuazione di tale intelligenza, e avere qualche possibilità realistica di comprenderla, possiamo prendere esempio da ricercatori che affrontano sfide simili sulla Terra – continua Vakoch – come gli archeologi, che ricostruiscono la storia di civiltà del passato da informazioni frammentarie, così dovranno fare i ricercatori del Seti per comprendere civiltà lontane da noi, separate da vaste distese di spazio e tempo”.
Il Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) è un progetto finanziato dalla Nasa dal lontano 1971. Missione: rilevare la presenza di vita intelligente nello spazio oltre la Terra. A quanto pare sono stati fatti passi da gigante, in questa direzione, se è vero che l’astronauta Edgar Mitchell parla di contatti stabili e regolari con entità aliene. Nel suo libro, Vakoch (Nasa) resta sul vago, è vero. In compenso, Al Worden sostiene che i discendenti degli alieni siamo noi. Affermazioni destabilizzanti, ovviamente, fino a ieri sostanzialmente ignorate dai grandi media. Ora invece è il Pentagono a rifarsi avanti: per suggerirci – sia pure a piccole dosi – che tra noi e gli equipaggi degli Ufo c’è probabilmente una lunga storia, che forse sta per essere raccontata.

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