di Giorgio Prinzi
Raggiungere il quorum era solo un’azione politica che nascondeva il disinteresse riguardo alle politiche dell’energia. Cosa ne è stato dell’impegno civile messo in campo qualche mese fa? L’obiettivo prioritario di Di Pietro era quello di non farsi sfuggire l’occasione per colpire Berlusconi.
La campagna era stata già lanciata con toni incandescenti e non si poteva più rinviare la data. Il paradosso del recente referendum in materia di nucleare che, abrogando l’abrogazione ha di fatto, almeno sotto il profilo giuridico, rilanciato l’opzione nucleare offre lo spunto per alcune considerazioni di natura politica generale.
Qual è il ruolo di Italia dei Valori nella coalizione di opposizione e, soprattutto, il partito ed il suo leader sono una risorsa od una mina vagante per il centrosinistra ed il partito di maggioranza relativa al suo interno? Analizziamo la questione dall’inizio. Quando Antonio Di Pietro si fece promotore del referendum in materia nucleare, associando ad esso quello al tempo più “appetibile” del cosiddetto legittimo impedimento e i due promossi da altri sulla gestione della distribuzione delle acque, le probabilità di raggiungere il quorum erano scarse.
Esponenti di sinistra e di organizzazioni ecoambientaliste avevano avanzato proprio su questo punto serie riserve, ritenendo che la causa antinucleare ne sarebbe uscita penalizzata. Già, ma l’interesse di Di Pietro era davvero il raggiungimento del quorum? Certo, tra gli obiettivi c’era anche questo, ma non era il primario, che era invece quello di coagulare consenso soprattutto tra il potenziale elettorato di centrosinistra, con la prospettiva di rimescolare i rapporti di forza nella coalizione nella speranza magari di fare diventare Italia dei Valori il partito di maggioranza relativa al suo interno.
Dopo Fukushima, sull’onda emotiva, il referendum in materia di nucleare era diventato trainante, quello in grado di fare superare, come poi effettivamente è avvenuto, l’agognato quorum caricato forse di un eccessivo significato politico. Il timore di noi sostenitori dell’opzione nucleare era di verso contrario, in quanto giudicavamo la prospettiva di evitare il referendum, con la cancellazione delle norme su cui veniva chiesto, addirittura più pericolosa di una sconfitta alle urne, pensando che la cosa potesse venire strumentalizzata quale una “sconfitta per getto della spugna”, come si dice in gergo pugilistico.
Fu per noi un grande sollievo quando Di Pietro e altri referendari cominciarono a “sbraitare” contro lo scippo chiedendo comunque di votare, traslando il giudizio dell’elettorato sulla nuova normativa, che era stata varata per decreto legge e che avrebbe potuto comunque subire, come effettivamente avvenuto, cambiamenti anche notevoli in sede parlamentare.
L’obiettivo prioritario di Di Pietro sembrava pertanto quello non farsi sfuggire la carta al momento migliore per coagulare il consenso, quindi poterlo sfruttare all’interno della coalizione più volte accusata di immobilismo e di scarsa incisività nei confronti della maggioranza e del suo leader Silvio Berlusconi.
Forse sarebbe stato più razionale chiedere di eventualmente differirlo di un anno, ma il suo valore aggiunto per il raggiungimento dell’agognato quorum a portata di urne lo rendeva indispensabile ed irrinunciabile. La campagna sul tema era stata già lanciata e con toni incandescenti; non si poteva tornare indietro senza correre il rischio di compromettere il risultato degli altri tre.
Sorge a tal punto il dubbio se il paradosso dell’abrogazione dell’abrogazione, quindi della riaffermazione dell’opzione nucleare, sia scaturita da una dinamica impazzita o da una razionale contromossa governativa e della maggioranza. Farsi un’idea richiederebbe uno studio approfondito degli atti parlamentari, che lasciamo ai giuristi ed ai futuri storici.
Più semplicemente ci richiamiamo alla memoria presentata il 30 maggio da Italia dei Valori alla Corte di Cassazione per chiedere la traslazione dei quesiti referendari, nella quale vi sono peraltro ampi riferimenti ai lavori parlamentari da cui si evince la volontà della maggioranza e del governo di riprendere presto il rilancio del nucleare.
La memoria in questione è tutta tesa a sostenere questa tesi e pur analizzando in dettaglio gli stessi punti che prendiamo in esame noi, non si pone il problema degli effetti dell’abrogazione dei due comma sui quali poi è stato chiamato ad esprimersi l’elettorato. Le motivazioni (comma 1) per cui “non si procede” sono del tutto inessenziali; potevano essere di qualsiasi altra natura e non sarebbe cambiato nulla.
Pregnante è il verbo e il concetto opposto di “si procede” che la sua abrogazione ha comportato. Peggio ancora con l’abrogazione, la cui implicazioni sono tutte da valutare, del comma 8, introdotto in sede di dibattito parlamentare, in cui non compare affatto la parola “nucleare” ed ha pertanto valenza generale, che nella sostanza ha cancellato quanto la Corte Costituzionale aveva con più sentenze affermato in materia di rapporti tra potere centrale e poteri locali, dando interpretazione al riformulato “Titolo V” della Costituzione ed al conflitto di competenze che ne era derivato.
Ci sono ora alcune considerazioni da fare. Sulle modifiche costituzionali è previsto che il popolo si esprima mediante referendum, addirittura senza sbarramento del quorum. La Corte Costituzionale dichiarando ammissibile sottoporre a referendum il comma 8, ha di fatto rimesso al giudizio quanto normato in base alle sue sentenze.
Il popolo sovrano si è plebiscitariamente espresso, abrogando la norma. La domanda che mi pongo e pongo ai giuristi è quella se ora la Corte Costituzionale potrà continuare a chiedere al Governo di attenersi a quelle sue sentenze nella sostanza plebiscitariamente abrogate dal risultato del referendum in materia del 12 e 13 giugno 2011.
Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori è un fine giurista, con un passato di magistrato di punta. Possibile che non si sia accorto del “paradosso”? Sinora ai nostri rilievi ha fatto eco solo un assordante silenzio. Il “chi tace acconsente” è divenuto persino un principio giuridico, quello del “silenzio assenso”.
Ne prendiamo atto. Si va avanti con il nucleare.
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