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LA MAREA NERA NON DIPENDE DALL’ENERGIA NUCLEARE

26 Febbraio 2012 admin ATTUALITÀ, Varie 24

Bp domani a processo due anni dopo l’esplosione del pozzo nel Golfo del Messico

di Andrea Malaguti da Londra
(da La Stampa) – Lunedì 27 febbraio, otto di mattina, New Orleans. Il disastro della Deepwater Horizon diventa ufficialmente un processo. Il più grande spettacolo giuridico del pianeta. E, secondo il «Financial Times», «uno scontro senza precedenti nel Paese più litigioso della terra». Sul banco degli imputati, la compagnia petrolifera britannica Bp, chiamata a rispondere per un danno stimato in 25 miliardi di dollari. È la pratica MDL 2179: 340 avvocati per le parti civili, 116 mila querelanti, 300 testimoni, quasi 8 mila elementi di prova e 72 milioni di pagine di documenti da valutare. Una montagna di carta con cui si potrebbe costruire una torre alta due chilometri. Una ferita irrimarginabile per gli abitanti del Golfo del Messico, una miniera d’oro per gli studi legali americani, una questione di principio per il governo di Washington e per i cinque Stati della costa. Una manna per i media e un gigantesco onere per il giudice della Corte Federale Carl Barbier, un uomo anziano con gli occhi sporgenti e acuti, chiamato a rimettere a posto le tessere del mosaico più velenoso e scomposto degli ultimi cento anni.
Il disastro del 20 aprile 2010 Le trivelle della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon stanno completando il Pozzo Macondo, al largo della Louisiana. Un’esplosione innesca un violento incendio: 11 operai perdono la vita, divorati dalle fiamme, altri 17 rimangono feriti. La piattaforma si ribalta, il danno ambientale è devastante. Quattro milioni di barili di petrolio si sversano nell’Atlantico. La marea nera mangia ogni cosa. Messa con le spalle al muro dal presidente Obama, la Bp è costretta a predisporre un fondo di 20 miliardi di dollari per i futuri risarcimenti. Per farlo deve vendere il 20% dei propri asset. Il direttore esecutivo della compagnia, il potentissimo Tony Hayward, si dimette dopo un umiliante confronto con il Congresso. Al suo posto viene nominato Bob Dudley. La Bp decide di fare causa alla società svizzera Transocean, proprietaria della piattaforma, e all’americana Halliburton, incaricata della copertura del pozzo Macondo. Decine di migliaia di pescatori, operatori turistici, proprietari terrieri, costruttori e semplici cittadini si uniscono per portare in tribunale Bp.
Risarcimenti, partita a poker Il processo arriva dopo quasi due anni di discussioni. I risarcimenti proposti dalla Bp attraverso il fondo Gulf Coast Claim Facility non soddisfano i querelanti. Dei 20 miliardi messi a disposizione solo 7 vengono utilizzati. Sono gli avvocati a spingere i clienti a rifiutare gli accordi. «Tranquilli, guadagnerete di più». È una partita a poker. Hanno riempito gli ultimi tre piani di un albergo nella zona francese di New Orleans, a poche centinaia di metri dalla Corte Federale. È il loro quartier generale. Buona parte dei risarcimenti finirà nelle loro tasche, con percentuali dal 15% al 40%. Lavorano su 70 computer, sono più di 300 decisi a spillare alla Bp ogni centesimo possibile. La compagnia britannica si fa rappresentare dagli studi Kirklan&Ellis e Liskow&Lewis, guidati da un avvocato con le fattezze da gigante che si chiama Andrew Langan, un uomo geniale e a sangue freddo disabituato alla sconfitta.
Il giudice Barbier ha deciso che il processo si svolgerà in tre fasi, ciascuna di tre mesi. La prima stabilirà le colpe dell’esplosione. La seconda quanto petrolio è finito in mare e se l’intervento della Bp sia stato adeguato. La terza servirà a capire dove è finito il petrolio e chi ha danneggiato esattamente. La compagnia britannica si gioca parte della reputazione, ma non la vita. Mercoledì Dudley ha commentato con soddisfazione i risultati dell’ultimo trimestre (attivo di 7 miliardi) e Fadel Gheit, analista Oppenheimer&Company, ha spiegato: «Bp is here to stay».
Gli avvocati e le vittime Le strade che corrono lungo la costa del Golfo sono piene di cartelli due metri per tre che recitano: hai perso soldi nel disastro della Bp? Ti serve aiuto? Chiamaci. Sono avvocati che, confidando nella meschinità dell’angoscia che rende gli uomini animali rancorosi, cercano di minare i tentativi di transazione che tuttora Bp cerca di mettere in atto. «Ma se arriveremo al processo ci difenderemo con le unghie e coi denti». Ci sono arrivati. George Barisich, un pescatore finito sulle tv nazionali e intervistato dal «Financial Times», è diventato il simbolo del braccio di ferro. «Quello che ha fatto la Bp è criminale». Gli avevano offerto 15 mila dollari. Vuole di più. Camminando lungo la spiaggia ritornata finalmente bianca racconta: «Se mi offri un pugno di noccioline allora tanto vale che ce la giochiamo ai dadi». È stato il suo legale a dirgli che si doveva fare così. Pessimo consiglio, secondo l’avvocato Daniel Becnel. «Guardate quello che è successo con la Exxon Valdez: vent’anni di attesa per avere un terzo dei soldi proposti come risarcimento iniziale. E per giunta un terzo dei querelanti nel frattempo è morto. Assurdo. Se uno ha i titoli giusti il Fondo di compensazione ti restituisce esattamente quello che ti darà il tribunale». Barisich non ci crede.
IN AULA A NEW ORLEANS I querelanti sono 116 mila gli avvocati delle parti civili 340, i testimoni 300
DIBATTIMENTO IN TRE FASI Le colpe, la quantità di petrolio finita in mare, le persone e i beni colpiti
LA STRATEGIA Rifiutare le somme offerte da Bp contando di ottenere molto di più con la sentenza
I RISCHI La lezione della Exxon Valdez è che i soldi arrivano molto dopo e molti meno

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