Alessandria – Ilir Beti, l’albanese di 35 anni, imprenditore edile residente ad Alessandria, che la mattina di sabato 13 agosto 2011, alla guida del suo Suv con a bordo l’amica di nazionalità russa, Tatania P. di 31 anni, ha causato la morte di quattro giovani francesi sull’A/26, è stato condannato oggi in abbreviato a 21 anni e 4 mesi di carcere, oltre al risarcimento ai familiari delle vittime ed alla revoca della patente. Secondo i giudici al momento dell’incidente era cosciente. Mentre percorreva contromano la A26 sono stati molti gli automobilisti che col clacson e coi fari gli hanno segnalato ciò che stava facendo. La polizia stradale ha ricevuto in quel frangente ben 13 segnalazioni al 113. È vero che aveva un tasso alcolico di 150 milligrammi, ma è altrettanto vero che subito dopo l’incidente appariva lucido e cosciente, rispondeva alle domande senza problemi e non dava segni che inducessero a pensare che fosse ubriaco, ed infatti non aveva neppure problemi motori. Secondo i periti era in grado di capire e accettare il rischio di uccidere. Infatti, l’alcol nel sangue dell’albanese non lo aveva reso completamente ubriaco, ma aveva attenuato l’effetto dei freni inibitori. La pesante condanna inflitta dai giudici alessandrini è dovuta anche al fatto che Beti è recidivo. Già nel 2006 gli era stata ritirata la patente in quanto guidava sotto l’effetto di sostanze alcoliche. Un altro fatto che lo riguarda e che metterebbe a fuoco la sua controversa personalità è accaduto nel 2010 quando, a causa di una lite per un parcheggio con un alessandrino nella centrale Via Mazzini, ha preso un cacciavite rigando l’auto del malcapitato per poi puntarglielo alla gola minacciandolo. Stavolta Beti doveva rispondere di omicidio volontario a titolo di dolo eventuale, lesioni gravissime, guida in stato di ebbrezza e porto abusivo di un coltello. Il pubblico ministero, che aveva chiesto 2 mesi in più, ha sostenuto che, guidando in quel modo, l’uomo ha accettato il rischio che potesse succedere un incidente e non ha fatto nessun tentativo per evitarlo. Per la difesa si è trattato di omicidio colposo di una gravità assoluta ma non c’era la volontà di uccidere. I familiari e molti amici delle vittime, giunti stamane in pullman dalla Francia, tutti rappresentanti dell’associazione “Un chemin pour demain”, nata dopo l’incidente per chiedere il riconoscimento europeo dell’omicidio stradale, hanno ascoltato la sentenza in lacrime. Prima fra tutti Cristine Lorin, la mamma di Vincent, morto con la fidanzata Audrey e gli amici Elsa e Julien in quell’assurdo incidente.
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