È vero, ci sono cose che non si possono dire. Ci sono cose che non diciamo di noi stessi, altre che un capo famiglia decide di non dire nemmeno ai propri congiunti e tutto ciò vale per ogni consesso, organizzazione e su, fino alle Istituzioni, da quelle periferiche a quelle centrali. Non sempre si dice tutto, insomma. E non è poi né anomalo né sconveniente. Gli Stati Uniti, la democrazia ritenuta la più avanzata del mondo, aprono i loro archivi su fatti e retroscena avvenuti alcuni lustri addietro, ma lo fanno quando vogliono loro e solo su alcune vicende. Purtroppo trovare un equilibrio fra quello che si può rendere pubblico, fra ciò che si deve rendere pubblico e fra le cose che alla comunità conviene sapere non è semplice. La tecnologia applicata alla comunicazione poi, benché abbia fatto passi da gigante nell’ultimo decennio, anziché aiutare, paradossalmente ha complicato la faccenda. Pensate cosa sarebbe oggi la carriera politica di Berlusconi senza intercettazioni selvagge, foto rubate e fuori onda carpiti “a tradimento”, o quella di Fassino senza la telefonata mandata ai media con “ Massimo (D’Alema n.d.r.), abbiamo una banca!”, ed è singolare che fra le vittime più illustri ci sia perfino chi ha usato più e meglio degli altri i nuovi mezzi di comunicazione di massa e dell’informazione (Berlusconi), e un partito che, a sua volta, ha goduto di pubblicazioni selvagge per fare ogni tanto battaglia politica (PD).Tra l’altro leggi e regolamenti si muovono a passo di lumaca per riuscire a tenere il passo col quale la tecnologia brucia le tappe dell’invasione della privacy altrui. Quando uscì il film di Coppola “La conversazione”, era il 1974, si parlava proprio di intercettazioni, ambientali e non: un capolavoro, ma sembrava fantascienza; rivisto oggi fa sorridere per i macchinari rudimentali impiegati allora, ma la tematica è drammaticamente la stessa. Problema simile anche per la velocità e la capillarità con la quale si muovono oggi le notizie, e di chi le muove. Certo, il problema rimane: “lo diciamo o non lo diciamo?”, oppure: “facciamo in modo che lo sappiano tutti o solo quelli che non possono non sapere?”. Tutto ciò anche per dire, al di là dei massimi sistemi, di avere il sospetto che sulla vicenda che riguarda il Comune di Alessandria e il suo dissesto i protagonisti, volenti o nolenti, passati e presenti, colpevoli o innocenti, vittime o carnefici, attori o comprimari, leali o voltagabbana, e chi più ne ha più ne metta, i protagonisti, dicevamo, ci nascondano qualcosa; ognuno di loro insomma, al di là delle roboanti dichiarazioni di facciata, conservino una personale “zona grigia” che al momento è difficile portare in superficie. Ma non c’è problema: qui certe verità si vengono a conoscere senza scomodare gli archivi blindati di CIA o FBI. E, già che siamo in argomento, invitiamo gli alessandrini a domandarsi pure, rispetto alla divulgazione a livello nazionale delle notizie circa i disastri municipali mandrogni, se è più utile battere la grancassa nei talk televisivi più seguiti della TV oppure scegliere la linea di un dignitoso silenzio, visto poi che i grandi dell’informazione si occupano di questa città solo quando possono parlarne male e, qualche volta, a sproposito (vero Gabanelli?). Cichinisio, da noi interpellato, un’idea ce l’avrebbe sia sulla zona grigia che sulla grancassa ma la pubblichiamo un’altra volta.
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