Alessandria – Poi dicono che noi di Alessandria Oggi siamo dei rompiballe che fanno allarmismo. Ciò è falso perché facciamo solo il nostro mestiere raccontando quello che succede. Ma i soliti pennivendoli di regime, dopo aver scritto qualsiasi belinata sul futuro delle partecipate e dei dipendenti, quando noi scrivevamo esattamente il contrario, ora devono fare dietro front e dare ragione a noi, come al solito. E lo fanno imbeccati dagli stessi sindacati che tre mesi fa avevano fatto scrivere loro che la produzione industriale era in leggera crescita e che le aziende della provincia tiravano il fiato. Da quei sindacati formati in gran parte da pelandroni mantenuti dai dipendenti che coi loro contributi pagano il loro stipendio (che qualcuno di loro, rappresentante autorevole della Cisl e cugino di un noto sindaco di una grande città della nostra provincia, spiana regolarmente giocando alle macchinette al bar), da quei sindacati che hanno sempre raccontato uno scenario che vedevano solo loro e che alla fine si è rivelato una balla colossale. Ma ora la verità inizia a venire a galla e si viene sapere che per tutti i cassintegrati in deroga non c’è più un euro. Per la verità la cassa integrazione era già finita a gennaio 2014 e si sapeva perfettamente che i lavoratori erano destinati alla rottamazione. Naturalmente noi l’avevamo scritto a chiare lettere, unici nel panorama desolante della stampa locale. In un articolo del 19 gennaio scorso (pubblicato nel vecchio sito) si legge: ”Chi parla di ripresa è un incosciente perché quei quattro soldi che entrano nelle casse delle nostre aziende, dovuti all’esportazione, dimostrano unicamente che possono spendere solo all’estero mentre in Italia si tira la cinghia. Ed è grazie alle esportazioni che le aziende aumentano lievemente il lavoro e diminuiscono licenziamenti e cassa integrazione. Nella nostra provincia, per esempio, è diminuita la cassa integrazione autorizzata nel 2013 (…). Commenta bene la Cisl Alessandria-Asti che rileva come restino ancora cassintegrati in deroga (un migliaio di aziende coinvolte, per un totale di circa 2900 lavoratori), e temono che per il 2014 questo sistema di copertura economica sarà ridotto notevolmente, con il rischio d’un aumento della disoccupazione perché, per quanto riguarda la cassa integrazione, le aziende hanno esaurito la possibilità di utilizzare gli ammortizzatori sociali, trovandosi quindi costrette a licenziare”. Bastava leggere Alessandria Oggi e si poteva fare ancora qualcosa: uomo avvisato mezzo salvato. No, ora cascano tutti dal pero e circa 3000 famiglie della nostra provincia non avranno più reddito a partire dal mese prossimo. E i pennivendoli – insieme ai soliti sindacalisti – ammettono: “Per quanto riguarda il picco delle ore di cassa in deroga (…) registrato tra aprile e maggio, resta forte la preoccupazione dei sindacati provinciali (…) dovuta al perdurare del mancato stanziamento di risorse necessarie per l’intero 2014, indispensabili per il sostegno al reddito di migliaia di lavoratori che stanno vivendo un disagio socio-occupazionale”. C’è da chiedersi, a questo punto, cosa ci stiano a fare i sindacati. Fanno come l’Onu che invece di intervenire, come dovrebbe, per evitare i conflitti, si limita a registrare che i conflitti si sono verificati e perdurano un po’ dappertutto. Ma per fare questo basta un reporter di guerra, non serve l’Onu. E per informare che i soldi sono finiti non ci vogliono migliaia di sindacalisti pagati dai dipendenti ma un normale cronista di provincia. Non è finita perché, se noi di Alessandria Oggi avevamo denunciato la cosa a gennaio, anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a marzo ammetteva che le risorse per la cassa integrazione in deroga sarebbero state sufficienti solo fino a metà anno e si correva il rischio di lasciare scoperti i lavoratori, a partire dal mese di luglio. Ma va?
Ora si pensa a nuovi ammortizzatori sociali come il Jobs Act. Cos’è?
Jobs Act è l’acronimo di Jumpstart Our Business Startups Act e, in teoria, mira a promuovere lo sviluppo di startup (nuove attività), semplificando una serie di procedure per le imprese, facilitando il reperimento di fondi. Sulla carta offre una serie di agevolazioni alle “imprese emergenti in crescita”. L’occupazione, anche se non ne costituisce apparentemente il focus, è un obiettivo chiave del provvedimento grazie alla riapertura del mercati di capitali per le imprese emergenti, al rinnovato (sarà vero?) accesso ai capitali per imprese che creano occupazione. Lasciando per un attimo da parte il discorso delle coperture per attuare questa riforma (coperture che per chi scrive non ci sono ancora) col Jobs Acyt Renzi vuole ripristinare l’assegno universale Aspi perso da chi “non accetti un’offerta di un lavoro superiore almeno del 20 per cento rispetto all’importo lordo dell’indennità cui ha diritto”. L’unica cosa che Renzi può fare è ridurre i requisiti necessari per accedere all’Aspi. A meno di non voler rivedere del tutto gli ammortizzatori sociali a partire dalla cassa integrazione. Inoltre è prevista la creazione (come?) di nuovi posti di lavoro in sette settori (Cultura-Turismo-agricoltura, Made in Italy, Ict, Green economy, Nuovo Welfare, Edilizia , Manifattura), per i quali il Jobs Act conterrà un singolo piano industriale. Ma nel decreto non si spiega come fare. Prevista anche la riduzione delle varie forme contrattuali, e nascita del contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti. Le forme di lavoro previste dalle attuali normative sono una quarantina ma quelle utlizzate non arriveranno a dieci (tempo indeterminato o determinato, contratti a progetto, lavoro interinale, lavoro stagionale, le “false” partite Iva, lo staff leasing e poco altro). Ora il contratto unico indeterminato si basa sull’idea che basti una forma contrattuale in cui il raggiungimento di tutte le garanzie avvenga nell’arco di tre anni. È prevista anche la nascita di un’Agenzia Unica Federale che coordini i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali. La novità più rilevante attiene alla possibilità di erogare gli ammortizzatori sociali da parte di un’Agenzia unica che sostituirebbe l’Inps (boh?). insomma, come al solito, Renzi-Fonzie le spara grosse e ha in testa molte idee oltremodo confuse. Ma ai globocrati va bene così. Va bene che ci sia Pinocchio che intrattiene gli italiani e promette di tutto, tanto promettere non costa niente. Ma ora i soldi sono davvero finiti, l’Inps sta esplodendo, la cassa integrazione a tutti i livelli è finita, e il bottiglione, davvero stavolta, rischia di scoppiare. Da Roma fanno sapere che “Per la copertura della cassa integrazione in deroga manca all’appello circa un miliardo di euro che è il risultato dello sbilancio fra le previsioni di copertura del 2013 e le previsioni di copertura del 2014”. Lo ha dichiarato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Questo significa che le centinaia di migliaia di lavoratori attualmente in cassa integrazione in deroga, anche qui da noi, da luglio non percepiranno più nulla e inizierà la fame vera. Secondo i dati in nostro possesso, oggi, in Italia come nella nostra provincia, né l’Inps (che paga) né il ministero del Lavoro (che regola) hanno il quadro completo della situazione. Non si sa quante persone messe fuori dalle imprese non percepiscono più anche solo i soldi per comprare gli alimenti di base. La sola certezza è che centinaia di migliaia di lavoratori sono lasciati per mesi in un limbo, dopo che era stato garantito loro che potevano contare sugli ammortizzatori sociali. Solo in questi giorni il governo ha sbloccato 500 milioni per accelerare i pagamenti degli arretrati ma secondo stime (informali) del ministero del Lavoro, solo sul 2013 resta comunque un buco di 330 milioni. In questa fase il costo complessivo della Cig in deroga, secondo stime (ancora una volta, informali) del ministero del Lavoro, è di tre miliardi all’anno.
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