Roma (Mario De Angelis) – Renzie e il suo governo del fare sembrano essersi arenati a Bruxelles. Con tante frasi ad effetto, com’è solito fare il nostro ragazzo di Firenze, non ha convinto i tedeschi che sono l’essenza del pragmatismo; non si fidano e sfidano il premier italiano a passare dalle parole ai fatti. Matteo Renzi, che ancora si gode gli elogi e le pacche sulle spalle ricevute soprattutto dai francesi dopo il suo bel discorsone al parlamento europeo, la settimana scorsa aveva fatto un annuncio importante subito dopo il consiglio europeo: “Chi fa le riforme ha il diritto alla flessibilità”. Dichiarazione accolta con grande entusiasmo in patria: il premier aveva finalmente “rottamato” anche l’austerità tedesca, dopo serrate trattative. E il suo Governo, quello delle riforme in 100 e poi 1000 giorni, avrebbe di certo ottenuto questa flessibilità. Ma il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, in un’intervista al Financial Times, ha detto di non aver sentito “il premier italiano e neppure nessun altro” chiedere più flessibilità nel Patto europeo di stabilità e di crescita. Questa flessibilità è stata chiesta o no? E se sì, riguardava i parametri di Maastricht? Una conferma in tale direzione è arrivata da altre dichiarazioni di fuoco giunte dall’estero: il premier olandese Mark Rutte, ai parlamentari del suo Paese, ha spiegato che “all’ultimo vertice Ue, Olanda e Germania hanno stoppato il tentativo di Francia e Italia di ammorbidire le regole di bilancio”. Allora, ricapitoliamo: l’Italia voleva (anche se Schaeuble dice che non è vero) più flessibilità sui vincoli di bilancio (riguardanti deficit e debito pubblico), ma è stata bloccata da Olanda (fedele lacchè dei tedeschi) e Germania. Graziano Delirio, sottosegretario alla presidenza del consiglio, tanto per aumentare il casino, s’è precipitato a dichiarare: “No, non chiederemo di alzare il 3%” (il vincolo europeo relativo al deficit/Pil) e il cronista di Corsera che lo intervistava esterrefatto ha incalzato: “Scusi, ma allora questa maggiore flessibilità cosa vuol dire?”, e Delirio incoscientemente (come al solito)serafico: “Vuol dire che quando si calcola il deficit non viene considerata, o meglio viene considerata flessibile, una parte della spesa. […] Può essere fatto per il cofinanziamento, cioè i soldi che l’Italia è obbligata a spendere per utilizzare i fondi europei […]. Ma c’è anche la clausola degli investimenti, che consentirebbe di lasciare fuori dal calcolo spese ad alto impatto sociale”. Insomma Renzi e i suoi non hanno fatto altro che rispolverare la politica di Berlusconi quando chiedeva di stralciare dal passivo la spesa per investimenti, richiesta reiterata dal “rottamato” Enrico Letta. In totale, stima Delirio, “la flessibilità potrebbe valere 10 miliardi all’anno”. Ma è tutto qui, un pour parler alla fiorentina, un nulla di fatto, anche perché la posizione di chi conta in Europa è ferma e si rifà alla risoluzione dell’anno scorso quando da Bruxelles si faceva sapere che la clausola degli investimenti non poteva essere usata dall’Italia. Un’Italia che deve risolvere prima i suoi problemi di crescita. Una crescita che non c’è e non si sa se e quando ci sarà. L’elettroencefalogramma del Bel Paese è piatto. Dal 2008 la produzione industriale si è ridotta di un quarto. A fine 2013 i consumi erano scesi dell’8% e gli investimenti del 26%. Abbiamo perso un milione di posti di lavoro e il tasso di disoccupazione è raddoppiato. Più il tempo passa, più la situazione si aggrava. Tenendo conto delle previsioni, nel 2015 l’economia italiana farà registrare una perdita di prodotto potenziale oltre il 12% nel 2015. È un trend che viene da lontano perché fra il 2001 e il 2009, non solo la crescita effettiva italiana è stata un record mondiale al ribasso, ma anche quella potenziale (cioè quella che si sarebbe potuta raggiungere con un uso ottimale dei fattori) era la più bassa in assoluto fra i paesi industrializzati raccolti nell’Ocse. Solo l’1,34% all’anno. Fra il 2014 e il 2015 la crescita potenziale (ovvero quella massima teoricamente possibile) sarà dello 0,11%.
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