di Susanna Novelli – Il numero di chi crede ancora nel fine mandato al 2018 del sindaco Marino in Campidoglio diminuisce di giorno in giorno, pagina dopo pagina, nome dopo nome che si sovrappongono nelle migliaia di pagine dell’inchiesta di Mafia Capitale. A resistere di fatto resta solo un Pd, pure clamorosamente coinvolto. Il motivo? Un sondaggio riservatissimo, pubblicato su affari italiani, che registra una bastonata per i dem senza precedenti: 17% dei consensi, contro il volo al 30 dei grillini. Percentuali che spaventano e che fanno “correre” in Campidoglio i massimi esponenti del partito di Renzi. Ieri è stata la volta di Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd nazionale che ha insistito: «Stiamo andando avanti benissimo, il Pd ha ha messo mano alla situazione prima ancora della prima ondata di arresti. Le elezioni non sono una soluzione». Poi un vago riferimento al cambio di capogruppo in Aula Giulio Cesare, da Francesco D’Ausilio, dimessionario in tempi non sospetti – citato nelle intercettazioni ma non indagato – a Fabrizio Panecaldo. Uno scivolone da parte della numero due di Renzi colto dal leader de La Destra, Francesco Storace: «Il Pd ha informazioni riservate di cui noi non disponiamo?». In serata tocca invece al ministro Graziano Delrio a portare solidarietà a Marino e a confermare che «si va avanti». Intorno impazza il sondaggio che affonda il partito e diversi esponenti del Pd che dichiarano, in batteria: andiamo avanti. Un segno di debolezza e di crisi che potrebbe presto tramutarsi in frattura, ovvero in quell’«Enrico stai sereno» che ha portato Renzi a Palazzo Chigi. Come se non bastasse poi, l’atteggiamento del sindaco che stizzisce non poco i consiglieri comunali che si sarebbero aspettati una parola di fiducia e di stima che tuttavia tarda ad arrivare. L’«io» tanto amato da Ignazio Marino cozza con il «noi» di una maggioranza sull’orlo dell’implosione.
Lo hanno compreso le opposizioni che a cinque giorni dallo scoppio di Mafia Capiale 2 si svegliano dallo choc.
I grillini forti del 30% tornano a chiedere dimissioni immediate. Fratelli d’Italia con il capogruppo Fabrizio Ghera è più concreto e avvia la raccolta firme per l’autoscioglimento del Consiglio comunale (ne occorrono 25), rafforza con appello alle dimissioni di massa il capogruppo Fi, Davide Bordoni. E dopo un lungo periodo di silenzio torna a parlare, con una nota, anche il leader della Civica, Alfio Marchini: «Il Pd ha una storia antica e seria che merita rispetto, così come lo meritano i romani. La città, a prescindere dagli scandali attuali, non è gestita ed è allo sbando dai rifiuti, alla sicurezza fino ai trasporti. Per capire il futuro è sufficiente prendere atto della paralisi del comune da dicembre ad oggi. I romani non si meritano questa agonia: subito un commissario e poi elezioni».
Persino i sindacati hanno deciso di scendere in piazza per la legalità con una fiaccolata.
Insomma, una “raccolta alle armi” prima della Caporetto. I nomi citati nelle carte, al di là del percorso giudiziario, sono tanti, troppi e rappresentano ruoli determinanti. Per questo, anche solo il dubbio di un illecito non è politicamente accettabile. Il presidente della commissione capitolina al Bilancio, Alfredo Ferrari – che ieri ha annunciato querela contro Buzzi – così come il capogruppo della Lista Marino, Luca Giansanti – che ha smentito nei giorni scorsi – entrano infatti prepotentemente in questa seconda tranche di inchiesta. Troppo per reggere un impatto mediatico devastante e che non può che peggiorare. E il gioco dei partiti che per salvare se stessi affossano la dignità della politica e dei cittadini (con una Lega data all’8% e un centrodestra allo sfascio) non può reggere tre anni. La decisione spetta al Pd, ben lontano da quel «modello Roma» inventato da Francesco Rutelli (completamente estraneo all’intera vicenda) e ridotto a una pseudo monarchia in grado sinora di mettere solo tanta (troppa) polvere sotto l’antico tappeto del Campidoglio.
CON MARINO IL PD A ROMA CROLLA AL 17% NEI SONDAGGI

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