“Anche lo scarafone è bello per mamma sua”. Quindi nessuno stupore se il ponte Meier piace all’architetto Dante Oscar Benini, suo autentico padre, poiché quello ufficiale americano ha fatto ben poco oltre che metterci il nome. Come è noto a chi ha seguito il parto, e prima la gestazione, il primo progetto di Meier aveva grossi limiti strutturali e l’architetto Benini ha dovuto in pratica effettuare sostanziali correzioni sotto tutti i punti di vista. Ci sono in Comune lettere che documentano quanto avvenuto. Di questo non c’è assolutamente da stupirsi poichè era la prima volta che Meier, architetto legato al Vaticano, specialista in chiese, progettava un ponte. Quello di cui c’è da stupirsi, e non poco, è che gli alessandrini, che certamente ignoravano del tutto la sua esistenza, abbiano affidato a lui l’incarico del progetto. Evidentemente erano stati consigliati da qualche altissimo personaggio ecclesiastico. Del resto anche Benini era la prima volta che progettava un ponte. È lui stesso a dirlo nell’intervista rilasciata a La Stampa. Visto il rifacimento, è probabile che il ponte da lui riprogettato non crollerà il giorno dopo all’inaugurazione, secondo le migliori tradizioni delle opere e dei viadotti costruiti in questi ultimi tempi dopo che Berlusconi, bontà sua, aveva in pratica limitato i controlli sugli appalti e sulle costruzioni pubbliche, con la scusa di liberarli da impedimenti burocratici. Che i figli poi piacciano ai padri, sia quelli putativi come Meier, che quelli naturali come Benini, è cosa assolutamente naturale che avviene da decine di migliaia di anni. È pure noto che la poesia può essere utilizzata per nobilissimi motivi, come fece il poeta Tirteo che la usò per condurre i Greci alla vittoria, o i poeti carbonari che la usarono per infiammare gli animi a favore dell’Unità d’Italia. Ma può essere ugualmente usata per scopi assolutamente ignobili, come hanno sempre fatto i più furbetti degli studenti per cercare di sedurre, con alterni risultati, ingenue fanciulle. Nello stesso modo, esibendosi in componimenti poetici, l’architetto Benini, dal palcoscenico de La Stampa che gli dedica intere pagine, sta cercando di sedurre gli alessandrini per far loro accettare con entusiasmo ed applausi, non solo un ponte costato ben 30 miliardi di vecchie lire e che ha causato il fallimento del Comune, ma anche l’inutile distruzione di un bel ponte progettato alla fine del 1800, gradevole a vedersi e di robustezza assoluta, tant’è vero che aveva persino retto alle bombe che gli erano cadute di fianco. Il motivo di questa insolita robustezza è presto detto: il ponte era stato progettato anche per fare diga chiudendo le sue arcate con degli assi per far crescere il livello, in caso di assedio, delle acque del Tanaro riempiendo i fossati della Cittadella. Caratteristica mantenuta nel tempo nonostante i rifacimenti. Probabilmente trascinato da impeto poetico e nell’inconscio ricordo della meravigliosa villa sulla cascata di Frank Lloyd Wright, l’architetto Benini parla liricamente del rumore delle acque che si infrangono nella piccola cascatella frangifrutti sottostante al ponte, anch’essa costruita in passato per accumulare l’acqua per i fossati e lasciata immutata per motivi di risparmio. Romantica visione di gusto nibelungico (Sigfrido è spesso rappresentato nei pressi di cascate spumeggianti) ma con un assai costoso inconveniente: l’acqua nebulizzata dal frangersi del fiume sulle rocce della cascatella sarà trasportata, anche da un minimo di vento, sul ponte. Quando era in muratura nessun danno, ma su un ponte in ferro vuol dire produrre ruggine a tutto spiano a meno di una continua manutenzione con pitture specifiche e vernici apposite. Il tutto costa tantissimo e andrà ad assommarsi alla spesa della illuminazione continua del manufatto, creata per maggior gloria ed imperitura fama del Meier, trasformandolo in una emorragia inarrestabile per le finanze del Comune.
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