di Andrea Guenna – Siccome in Italia si fanno sempre i conti col passato e spesso si da la croce addosso ai soliti fascisti assassini e forcaioli, per il fatto che i fascisti, in genere, non sono stati né assassini né forcaioli (ce n’è per tutti), crediamo che, mentre si continua a dibattere sul terremoto del Centro Italia della fine di agosto e sono ancora in corso i lavori per la ricostruzione dei luoghi colpiti (altro che “tutti a casa loro entro Natale”), per le ultime generazioni così lontane dal Ventennio, sia utile dirla tutta.
Dopo le solite promesse renziane e la nomina – risibile, per chi scrive – di Vasco Errani (ma dovevano scegliere proprio lui?) a commissario straordinario per la ricostruzione, in un momento in cui, finalmente, la verità torna a galla e si fanno i conti con le proprie responsabilità oltre che con la propria coscienza, senza schierarci dobbiamo prendere atto che bisogna raccontare quello che è successo ben 86 anni orsono, in condizioni addirittura peggiori delle nostre, e di quanto ha saputo fare il regime fascista.
Faccio riferimento al terremoto del Vùlture del luglio 1930, avvenuto sempre sulla dorsale appenninica, poco a sud di quello del 24-28 agosto scorso e di magnitudo superiore, 6,7 (quella di Amatrice è stato di 6 – 6,2), che causò un numero di vittime quasi cinque volte maggiore di quello delle Marche: 1404 contro 299. Il terremoto prende il nome dal Monte Vùlture alle cui pendici si verificarono ingenti danni, e colpì la Basilicata, la Campania e la Puglia, in particolare le province di Potenza, Matera, Benevento, Avellino e Foggia, interessando oltre 50 comuni.
Il Duce, non appena ebbe notizia del disastro, convocò il ministro dei Lavori Pubblici Araldo Di Crollalanza e gli affidò in toto l’opera di soccorso e ricostruzione. Di Crollalanza dispose in poche ore il trasferimento di tutti gli uffici del Genio Civile nella zona terremotata, come previsto dal piano di intervento e dalle tabelle di mobilitazione che venivano periodicamente aggiornate.
A Roma Termini, su un binario dedicato, era sempre a disposizione un treno speciale, completo di materiale di pronto intervento, munito di apparecchiature per demolizioni e quant’altro necessario per provvedere alle prime esigenze di soccorso e di assistenza alle popolazioni terremotate.
I lavori iniziarono immediatamente.
Dopo aver assicurato gli attendamenti e la prima assistenza, furono incaricate numerose imprese edili che giunsero sul posto con tutta l’attrezzatura. Lavorando su schemi di progetti standard si poté dare inizio alla costruzione di casette antisismiche a un piano di due o tre stanze più servizi e, nello stesso tempo, fu dato il via alla riparazione di migliaia di abitazioni ristrutturabili per riconsegnarle ai sinistrati prima dell’arrivo dell’inverno.
In tre mesi le prime case furono consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e della Puglia. Ne furono costruite 3.746 e riparate 5.190. Quelle stesse case furono le uniche a resistere cinquant’anni dopo al terremoto dell’Irpinia. A Natale i lavori erano finiti.
Alla fine Araldo Di Crollalanza avanzò dei soldi e li rese al Duce che li consegnò, per competenza, all’allora ministro delle finanze Guido Jung.
Sembra una storia incredibile, proprio perché siamo in Italia, ma è andata proprio così.
Per il terremoto di Amatrice prendiamo esempio da quello che ha fatto, presto e bene, il regime fascista 86 anni fa per il terremoto del Vùlture
