di Cichinisio – Avevo chiuso l’anno intitolando il pezzo settimanale di questa rubrica “Allenarsi a vincere”, per poi battezzare il primo Cichi del 2017 “Imparare a perdere”. In questa città infatti si fa fatica a somatizzare sia la vittoria che la sconfitta. Per chi è da sempre simpatizzante nerazzurro come il sottoscritto il secondo vademecum lo conosce benissimo in quanto storicamente l’Inter vince per periodi piuttosto brevi e a decenni di distanza, in compenso quando vince lo fa con modi ed intensità che ripagano i tifosi di tutte le amarezze subite. Mediamente invece il tifoso juventino è allenato a vincere e quando “la Gobba” non lo fa non prende la battuta d’arresto con filosofia, benché sia sicuro che la gloria è solo rinviata. Infatti il bianconero non trova nulla di strano quando il club zebrato, ogni tanto, usa sistemi discutibili pur di arrivare ad essere vincente, passando sopra tutto e tutti. Dunque c’è chi sa vincere, chi sa perdere e chi, come in riva al Tanaro, spesso non sa fare né una cosa né l’altra. Colpa di chi o di cosa? Direi che di base la cultura sportiva qui è un optional e che la classe dirigente sportiva mandrogna è stata spesso troppo debole ed insignificante per imporsi facendosi spesso “tirare la giacchetta” dalla cosiddetta “opinione pubblica”. Attenzione, perché nel primo dopoguerra l’Alessandria ha ottenuto risultati eclatanti con dirigenze illuminate che investivano poche risorse rispetto alla concorrenza già allora agguerrita. In quel tempo però il pubblico correva al Mocca e capiva la fatica e le difficoltà di chi dirigeva il club. Ma non è più così. Ogni battuta d’arresto, ogni mancata promozione, ogni crisi di risultati viene presa come un tradimento da parte di società e giocatori nei confronti del tifoso, come se non perdessero pure altre squadre in giro per l’Italia o come se l’Alessandria fosse l’unica depositaria di una tifoseria numerosa ed appassionata. Purtroppo, lo vado scrivendo da sempre ma certa gente finge di non capire o forse non ama sentire quello che non gli aggrada, se bastasse il pubblico per far vincente un club il Napoli disputerebbe un anno si e l’altro pure la finale di Champions. E così non è, anzi. Scrivo queste cose per cercare di capire come, ancora una volta in maniera irragionevole e scomposta, si sia sviluppato il dibattito in occasione della prima sconfitta di campionato patita al 22° turno (!) a Livorno e, in seguito alla dichiarazione del DS secondo il quale la Società non farà “mercato” a gennaio ma si limiterà a correzioni nelle seconde linee. Primo punto: i Grigi hanno perso al Picchi una partita che, quanto ad occasioni create, meritavano di pareggiare, pur davanti alla squadra più in salute del girone, costruita da chi il calcio lo sa fare e allestita per puntare alla promozione diretta. La nostra squadra non è stata brillante come in altre occasioni? Per chi mastica un po’ di calcio è cosa assolutamente comprensibile. Il centrocampo mandrogno è stato sovrastato da quello avversario? Ci può stare, visto l’avversario ed il modulo che adotta. Il nostro attacco è stato imbrigliato? È nell’ordine naturale delle cose se per una volta i nostri due punteros sono rimasti all’asciutto. C’è poi chi, a cose viste, ha subito trovato il colpevole in Braglia reo, secondo alcuni, di non aver adottato, per l’occasione, il 3-5-2 dall’inizio. Trattasi di minchiata fotonica perché il centrocampo “a tre” non è certo la polizza assicurativa in simili fattispecie e il campionato scorso, evidentemente, non ha insegnato niente. Oppure si rimprovera al Mister il mancato impiego di Sosa al posto di Gozzi perché il primo è dotato di caratteristiche fisiche più simili a Cellini, match winner di giornata. Infatti è acclarato che con Sosa in campo i centravanti avversari non hanno mai segnato o, se preferite, che con Gozzi titolare di partite in questa stagione ne abbiamo perse tante, prima di Livorno naturalmente. O no ? Inoltre che razza di messaggio avrebbe dato Braglia se, senza carenze d’organico particolari, avesse stravolto un modulo che, insieme a tante altre cose, ha comunque contribuito a garantire un percorso fin qui da definire eccezionale. E sapete perché? Perché il Mister toscano è riuscito a trovare alla velocità del fulmine un equilibrio fra la fase offensiva e quella di non possesso. Certo, l’equilibrio per certa gente può essere il nome di una merendina da ingurgitare tra un pasto e l’altro o comunque un attrezzo da tenere sempre lontano dal cervello. E tenerlo lontano soprattutto quando si parla di campagna acquisti. Infatti se la Società ha dichiarato di non essere intenzionata a modificare la rosa attuale se non nei dettagli mi pare che abbia preso la decisione più ragionevole. Infatti ci vuole del coraggio (e tanto culo) a migliorare una rosa che fin qui ha messo insieme numeri da capogiro. Che poi Magalini, nell’occasione, si sia affrettato a sottolineare che il principale artefice di questa scelta è Braglia, in qualità di dietrologo di complemento la cosa mi fa sorridere e non mi sorprende. Sarebbe come dire che, se qualcosa dovesse andare storto, la colpa è dell’allenatore che non ha voluto cambiare niente. Se invece tutto va come nelle previsioni allora il merito è del DS, colui il quale ha portato avanti la campagna acquisti estiva: questo sì che si chiama “mettere le mani avanti”. E questo atteggiamento, se palesato platealmente, non aiuta certo l’approccio equilibrato da parte di chicchessia. In cauda venenum: un tifoso mi ha fermato per strada e, fortunatamente sottovoce, ha confessato, in relazione alla sconfitta di Livorno: “Abbiamo toccato il fondo!”. Beh, se aver vinto 15 partite su 21, averne pareggiate cinque e perse una sola, e di misura, significa “aver toccato il fondo” allora vuol dire che a Prato stanno festeggiando e a Cremona si considerano già in Serie A, come minimo. Inutile dire che questo tifoso in vena di confidenze era sicuramente fra quelli che consideravano l’Alessandria già promossa alla decima di campionato… buoni pure quelli!
Tifare per i Grigi vuol dire anche imparare a perdere
