di Pierdcarlo Fabbio – È ormai passato oltre un sessennio dai fatti e forse di più se si considerano gli antefatti. E troppe volte mi sono trovato di fronte – avendo vissuto quegli eventi – a racconti che hanno dello sconcertante, tanto distante appaiono dalle loro vere dinamiche. Anche la verità processuale, che non riguarda poi neppure direttamente questo tema, anche se lo sfiora, è apparsa a chi l’ha vissuta, assai lontana dalla realtà.
Per cui il timore di leggere un nuovo capitolo di una vulgata convenzionale e tutto sommato così facile da trasmettere a fronte di una materia così complessa, avrebbe potuto prevalere.
Perché già dal titolo del nuovo libro del nostro direttore Andrea Guenna, pur conoscendo la sua travolgente propensione alla verità, magari anche a quella più scomoda, non potevo non aver qualche dubbio nell’affrontare la lettura delle oltre 250 pagine del suo nuovo volume.
Dunque, fin dal titolo: secco, immediato, senza fronzoli e aggettivi barocchi. “Dissesto” e tanto basti per entrare in argomento. Caratteri di scatola in negativo su uno skyline della città tendente al buio, al torvo, al decadente e soprattutto al sospetto che tutto stia imbrunendo o che vada sempre più scurendo, senza neppure avere la speranza di esserci sbagliati e di assistere in realtà ad una nuova aurora… Solo la lettura del libro svelerà la sua copertina.
“Dissesto” dunque, senza mezzi termini. Un tema da palati forti, perché Guenna non ha lesinato quell’alternanza tra tematiche tecniche e problematiche politiche, che hanno caratterizzato la decisione del Consiglio Comunale a maggioranza centrosinistra del luglio 2012.
Quale la tesi dell’autore? Intanto mi occuperei dei tanti spunti offerti alla storia, partendo da brandelli di cronaca che Guenna ha raccolto con certosina pazienza dagli archivi della sua testata e non solo, articolandoli in un racconto che appassiona anche chi non ha avuto che la possibilità di coglierne qualche eco e non di più. Si va dalla sconfitta elettorale della destra nel 2012, ai livori senza precedenti di una politica locale i cui protagonisti hanno perso il senso dell’equilibrio; dalle condizioni del bilancio e dei conti del Comune, allo sbugiardamento verso chi ne ha fatto una mera questione di propaganda; dal ruolo della Magistratura locale e piemontese alla valutazione di personaggi del palazzo assai discussi, come Antonello Zaccone, alias Mago Zac; dalla rivalutazione delle decisioni adottate dall’allora assessore al bilancio Luciano Vandone, al progressivo smontaggio delle accuse, fino al capitolo finale che è più che una convinzione, in quanto si parla di “dissesto inesistente”.
Poi tutta una serie di documenti che non fanno altro che sostenere la tesi e rivelano quello che, pur importantissimo per il giudizio sui fatti, non è stato artatamente diffuso per lasciare che invece si diffondesse un’interpretazione della realtà guidata dai poteri forti e non dalla verità.
Già però dalla premessa, Guenna non copre le carte, come altri fanno ancora oggi, ammesso che ce le abbiamo o che mai le abbiano lette. Ecco cosa scrive:
“Il dissesto di Alessandria, approvato all’una e 12 minuti di venerdì 13 luglio 2012 dopo sette ore di acceso dibattito nel corso di un Consiglio comunale iniziato il giorno prima si poteva evitare, e l’averlo voluto è stata una scelta discutibile e dettata più dalla propaganda che dal buon senso. Infatti gli stessi commissari dell’OSL (Organo Straordinario di Liquidazione) con delibera del 17 ottobre 2016 hanno chiuso i conti con un attivo di una quarantina di milioni di euro che, compensati dai soldi pervenuti dal Ministero dell’Interno (circa 56 milioni) davano un saldo negativo molto inferiore alle previsioni. Ecco perché oggi riesce difficile pensare al default. Gli è che la falsa informazione ha distorto i fatti e i “tifosi del dissesto”, pur non essendo la maggioranza, hanno urlato più forte, per cui qualcuno è finito “in croce”.
Andando dietro alle cifre di cui è ricco il volume, si comprende immediatamente quanto la comunicazione non adeguata, non controllata, non verificata abbia avuto un ruolo fondamentale nella vicenda per far passare alcuni amministratori come colpevoli per definizione, dimenticarsi clamorosamente di altri che colpevoli lo erano sul serio, e santificare, quando non consentire l’autosantificazione di alcuni attuali amministratori troppo in vena di lodare le loro gesta.
E proprio su questo versante Guenna incomincia a mettere le cose in chiaro: il debito lasciato da Francesca Calvo era pari a 72,9 milioni di euro. Non ci si spaventi, perché siamo largamente al di sotto degli indicatori che consentono ai Comuni di indebitarsi per fare investimenti e altre spese. Mara Scagni, sindaco del centro sinistra che ha svolto il suo mandato dal 2002 al maggio 2007, lo ha aumentato sconsideratamente del 112,05% portandolo a 154,781 milioni. Un salto incredibile nel debito, a cui andrebbero aggiunti circa 9 milioni di euro per debiti fuori bilancio che l’Amministrazione Fabbio (cioè quella che io guidavo) ha dovuto pagare, ma che sono stati generati durante il mandato precedente specie per una spericolata operazione immobiliare e finanziaria a favore del gruppo Guala.
E tra il maggio 2007 e il maggio 2012 cosa era successo? L’assessore al bilancio, professor Luciano Vandone, nonostante la tremenda crisi che si era abbattuta sul mondo e dunque anche su Alessandria, era riuscito a mantenere abbastanza stabile il debito ereditato fissandolo intorno ai 149 milioni, abbastanza allineato agli indicatori che lo Stato italiano detta ai Comuni come limite massimo al loro debito. In più aveva investito grosse cifre per far funzionare al meglio la città.
Ed oggi, dopo il tanto autodecantato risanamento, più volte messo in risalto da un’informazione di parte, a che cifre siamo? La sindaca Rossa lo ha portato a oltre 200 milioni, facendolo letteralmente esplodere ben al di là di tutti i valori consentiti dalla legge, ma nessuno ha gridato al complotto, al tradimento o ad altro ancora. Gli alessandrini sono pragmatici al punto che non tendono neppure a sprecare il fiato per questioni così tecniche. Hanno una loro valutazione del sindaco attualmente scadente e l’hanno confermata per 4 anni: ultimo nel gradimento in Italia! Con buona pace dei suonatori di chiarine o di trombe di Bach, che come si sa si usavano nelle grandi occasioni rinascimentali.
Guenna non si scompone neppure di fronte ad argomenti che necessitano di una conoscenza tecnica assai profonda e, tanto per complicarsi la vita, ma anche per rendere più entusiasmante la lettura, spiega gli eventi politici di questa città da cronista con il debole per la storia, si occupa delle difficoltà della mia amministrazione; racconta le tensioni fra alleati; mette in piazza anche qualche retroscena interessante che spesso si dimentica, ma che è capitato sul serio.
Dà, cioè l’impressione di essere stato di fianco al Sindaco e all’assessore Vandone nelle stanze dei bottoni mentre questi li stavano schiacciando e non lesina le critiche che uno spirito libero si sente di fare ai vari Sindaci che si sono succeduti a Palazzo Rosso.
Un esempio di questo modo di porgere i complessi materiali ai lettori sta nella capacità di chiamare le cose con il loro nome, senza aver paura di esagerare troppo, ma proponendo uno stile giornalistico che in sede locale si stenta ad applicare, come nel caso della “spy story de noantri”, che investe molti poteri che operano in Alessandria: dalla politica alla Magistratura, dalla massoneria ai coaguli temporanei di interessi.
E non risparmia neppure i due pesi e le due misure usati da giudici contabili nei confronti dei due Palazzi e delle due corazzate partitiche che si confrontavano: il centrodestra del Municipio e il centrosinistra di Filippi e Rossa di Palazzo Ghilini, sede della Provincia.
Si può quindi leggere in vari modi questo libro: quello ragionieristico, della contabilità pubblica, dei numeri, delle risorse, dei debiti, ma anche quello del racconto politico con i suoi intrighi, i suoi pesi e le sue misure, le sue alleanze, così come quello delle reazioni dei cittadini, il loro modo di distribuire il consenso sulla base delle informazioni ricevute. E perché no, quello più plautino, della commedia degli equivoci, degli alberghi dello scambio eretti a sistema ove le buone persone vengono fatte passare per delinquenti e i delinquenti per il loro contrario. Cioè un modo per dimostrare che l’onestà non consiste solamente nel sottrarre denari, ma anche nel raccontare ai concittadini i fatti per come si sono svolti e non per come si ha interesse a rappresentarli. E queste cose, fatte a cuor leggero, senza valutarne le conseguenze sulle persone coinvolte, sono ancor più indice di colpevolezza e disonestà.
E allora? Si può essere d’accordo con la lettura degli avvenimenti che Andrea Guenna dà oppure siamo di fronte all’ennesima fantasiosa ricostruzione ove l’invenzione funziona da incommensurabile strumento letterario?
Non sono certo io a dover dar giudizi su quest’aspetto. Troppo chiamato in causa.
Ma una cosa è certa: l’abissale distanza dalla verità della vulgata che ho sentito più volte in questi anni si è di molto ridotta e la strada è quella giusta.
E chissà che Guenna, magari visto il successo di questo libro, non voglia ritentare il colpo del sequel e restringere sempre più il campo delle illazioni, favorendo la lettura di una verità a cui i cittadini hanno per primi diritto.