Il presente a capitalismo speculativo-finanziario integrale si contrabbanda oggi come eterno per esorcizzare l’idea del suo possibile superamento e, dunque, per imporre l’orizzonte dell’assenza di limiti e di confini anche in senso temporale. Questo aspetto, peraltro, è provato dalle due odierne aspirazioni – segretamente coincidenti nella loro correlazione essenziale – dell’allungamento indefinito dell’esistenza oltre le sue barriere naturali e della tanatopolitica dell’eutanasia come libera somministrazione della morte. La prima aspirazione è connessa con il fatto che, nell’immaginario colonizzato dal capitale, la morte stessa risulta oscena, in quanto interrompe in via definitiva il consumo: per questa ragione, con la grammatica di “Essere e Tempo”, l’odierna società inautentica dell’omologazione mira a rimuovere la dimensione dell’essere-per-la-morte, ossia del “poter-essere più proprio” dell’Esserci. La seconda aspirazione, dal canto suo, rinvia al tacito presupposto che non sia degna di essere vissuta ogni esistenza non produttivamente all’altezza del cosmo mercatistico e delle pratiche consumistiche.
Dietro l’insana aspirazione a non invecchiare e a non morire mai si agita il folle sogno dell’astuzia della produzione. Quest’ultima vorrebbe che i suoi sudditi non diventassero mai adulti e maturi, ma rimanessero perennemente giovani, coartati a condurre esistenze sempre più atomizzate, perennemente fluttuanti tra forme precarie, instabili e riprogrammabili dalla disorganizzazione organizzata dell’economia.
La stessa ingens sylva delle prestazioni dell’industria culturale in senso apocalittico (il cinema è letteralmente invaso dalle icone della fine , da film, narrazioni e dispositivi visivi che mettono in scena la fine di tutte le cose) è sempre funzionale all’addomesticamento del pensiero apocalittico tramite la sua fruizione innocua, nella forma che, con inflessione blumenberghiana, potremmo qualificare dell’apocalisse con spettatore. Le sole immagini della fine che la metafisica dell’illimitatezza pare potersi permettere sono quelle sorvegliate panopticamente dall’industria culturale e dal suo raddoppiamento simbolico dell’esistente.