di Maria Grazia Montaldo Spigno – Cocciuta, tiranna, sottomessa, azzardata, svilita, disperata, inseguita, rinnegata, appassita, amata, coccolata, dileggiata, tradita, informante, deformata, violenta, vorace, dissennata, sottratta, uccisa, devastata, atterrita, ricercata, spaventosa, distrutta. Forma rinata. Alessandra Guenna non ha certo paura della forma: la insegue anzi con sicuro piacere fin dall’inizio delle sue scelte artistiche. Una forma agguerrita, imbevuta di Picasso e di Matisse, forma maschia e irruente per il segno impetuoso, fin dal principio insofferente di rifiniture. Segno immediatamente espressivo di un appassionato quanto problematico “essere” nel mondo. Gli spigoli della crescita umana si specchiano nell’asprezza del tratto, si rendono acuti nella semplificazione costruttiva che si fa denuncia di solitudine, messa a fuoco di un’impossibilità dialogica che apre la strada al rapporto privilegiato e pensoso con la propria solitudine. La solitudine si fa meditazione, ricerca, domanda (domanda ricorrente) sui temi della vita coniugati sempre con la consapevolezza della solitudine. È solitudine guerresca quella della Guenna ove il dolore si fa lotta, lotta di segni che si oppongono e si contrastano nel tentativo di sottomettersi, sottraendosi forze per sopraffarsi l’un l’altro con la forza nella ricerca, in parallelo con la vita, di placare l’ansia di risposte. Nella certezza del dolore si stemperano gli affetti (segno dolente e pensieroso), si penetra la fede, nel segno urlante e doloroso (il cammino dell’uomo) si restituisce a istinto quel pieno di contrasti che compete ad ognuno, condanna quotidiana all’incertezza. Dalla parte del fare si prende in mano il gioco, al continuo confronto – per lavoro obbligato – con le esperienze altrui. Quindi la dimensione classica, in questo clima di ritorni, a coronare l’aureo periodo della vita, maturità di cui ci si fa consci guardando i propri frutti. La propria discendenza che si fa prova duratura di un
passaggio che avrà un oltre da qui. E la domanda di sempre trova soddisfazione in un continuum che dà un senso al procedere. Il segno si distende, si fa arioso, felice, si pulisce d’imbrogli, si compiace nella sostanza addolcita del suo dirsi per altre vie, nuove scoperte ancora: la possibilità di un’ apertura al dirsi, dilatando lo sguardo al positivo nei confronti del mondo. Il dirsi dilatato e verticale diventa metafora del cosmo, moltiplica i livelli di lettura, non si nasconde più. Si offre spudorato, parla e si fa parlare, si affranca dalla tela, si costruisce in sé, architettura che prende corpo e impone il proprio ingombro: é. La mano corre obbediente al suo sentire, sfiora la forma e la sbiadisce nel vario maculato del supporto che la rigetta in superficie a fare il doppio di chi guarda, a mostrarsi sfacciata nella propria essenziale nudità. La macchia prende campo, ingaggia lotte, s’impadronisce infine del supporto, sottomette la forma che soggiace compiaciuta alla suggestione decorativa. È solo pausa. Dal fondo arabescato della macchia, quella forma soppressa si fa spazio, e beffarda e vincente emerge in superficie – forma rinata – a riguardare il mondo.
Espone a Bosco Marengo Alessandra Guenna, la pittrice che non ha paura della forma
