Alessandria (Andrea Guenna) – Una volta, quando il calcio era calcio e non rugby giocato coi piedi come è oggi, gli arbitri fischiavano i falli e c’erano: il portiere, due terzini, tre mediani, due ali (destra e sinistra), due mezzali (destra e sinistra) e un centravanti. Il calcio era la gioia di molti, sul campo c’era ordine e tecnica pura perché si correva poco e si faceva volare con precisione chirurgica la palla nel punto desiderato anche da una parte all’altra del campo. Sugli spalti regnava la buona educazione e il rispetto. Oggi no. Sul campo si danno dei cartoni della madonna e la giacchetta nera fa finta di niente sennò le prende, mentre sugli spalti c’è la guerra civile prima, durante e dopo la partita, che spesso continua anche fuori dello stadio con feriti e talvolta dei morti. Questa è semplice cronaca che dimostra a che punto sia arrivato l’imbarbarimento della società di cui il Calcio è un’espressione molto significativa. E non se ne può più dei mille ruoli che si inventano i giocatori per nascondere le loro lacune. Sono solo dei brocchi senza ruolo raccomandati fin da quando erano bimbi pingui e lenti da genitori che non amano il calcio perché non lo conoscono, e che vedevano in loro dei campioni. Se il povero allenatore non li metteva in squadra erano grane a non finire, così le squadre non erano fatte dai migliori ma dai più raccomandati ed oggi ci rendiamo conto che in Italia non ci sono più talenti proprio perché la selezione non c’è stata e non c’è. Infatti la storia non cambia perché i raccomandati la fanno sempre da padroni (siamo in Italia, piena di talenti senza carriere e di carriere senza talenti) nelle squadre giovanili dove non si vede niente di buono: una giocata, un tocco di finezza, un’idea, un’azione, un contropiede; ma solo sciocchezze, con bamboccioni – o bamboccini – in campo che si atteggiano a fuoriclasse perseguitati dai quei cattivoni degli avversari che li mandano sempre al tappeto perché costretti a commettere un fallaccio per fermare la corsa travolgente, palla al piede, di grandi player… si dice così? Io sono rimasto al calcio dei miei tempi, quello vero, di quando i talenti venivano fuori dai campetti di periferia dove si giocava dalla mattina alla sera d’estate e senza arbitro perché chi faceva fallo chiedeva scusa e si fermava porgendo il pallone all’avversario affinché battesse la punizione. Non ricordo che mio padre sia mai venuto a vedermi giocare, tanto meno che abbia fatto pressione sui dirigenti della Novese perché mi mettessero in squadra. Erano i tempi di quando l’Inter e il Milan spopolavano sia in Europa che nel Mondo; erano i tempi di Rivera, Corso, Riva, Pascutti, Bulgarelli, Mora, Lojacono, Altafini, Mazzola, Facchetti, solo per ricordarne alcuni, campioni assoluti che quando avevano la palla al piede facevano quello che volevano. E lo facevano da fermi, senza correre, con due finte. Fantastico! Oggi vedi dei marcantoni alti due metri che corrono all’impazzata senza sapere né dove vanno né, tanto meno, dove spediscono la palla, non come negli anni sessanta e settanta, quando se un centravanti ciccava due o tre volte lo specchio della porta tornava in panchina per lasciare il posto a chi aveva più mira. Oggi i poveri allenatori si guardano bene dal sostituire certi brocchi, fondamentalmente per due motivi: perché i sostituti sarebbero peggio dei titolari, e perché sono tutti raccomandati per cui se si permettono di prendere delle decisioni a scapito loro hanno finito la carriera.
Il calcio di oggi non è più calcio ma rugby giocato coi piedi
