Alessandria (Andrea Rovere) – Brutta storia quella della diciannovenne nigeriana costretta (pare) a prostituirsi da due connazionali residenti nel centro storico di Alessandria. Secondo le sue dichiarazioni, infatti, Evelyn Esse e Kingsley Ogbodu, ora incriminati per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, oltre che per violenza privata e furto, l’avrebbero trascinata sul marciapiede minacciandola fisicamente e giurando che, se non si fosse prostituita, vi sarebbero state gravi ritorsioni sulla sua famiglia in Nigeria.
I due sono ora a piede libero, poiché, stando alle parole del loro legale, la giovane si sarebbe contraddetta nel corso della deposizione e vi sono alcuni elementi che necessitano di essere chiariti, ma, al di là di tutto questo su cui il tribunale si esprimerà nei prossimi mesi (il processo è fissato per il 13 maggio prossimo), resta la fotografia di una realtà dove violenza e miseria sono i tratti distintivi.
Il mestiere più antico è sempre conveniente
Quello della prostituzione risulta da sempre uno dei business più fiorenti per la criminalità organizzata, ed è purtroppo una prassi, qui come altrove in Italia, assistere al triste spettacolo della compravendita di prestazioni sessuali sulla quale lucrano i peggiori delinquenti. Si tratta di un vero e proprio mercato di carne umana, dove centinaia di ragazze, soprattutto straniere, sono attirate con l’inganno e poi di fatto schiavizzate. Il copione è sempre lo stesso: o fai quello che ti dico, e mi garantisci un bel guadagno, o sono botte. Tante. Per non parlare poi delle vendette trasversali minacciate al fine di scongiurare eventuali fughe ed imporre una pressione psicologica ancora maggiore.
Questo il destino delle tante giovani che, sulla scia di false promesse fatte loro in patria da alcuni lupi travestiti da agnelli, si sono trovate poi qui da noi a vivere un vero e proprio incubo, private dei documenti e sbattute in strada ad adescare chi di scrupoli non se ne fa quando si tratta di soddisfare i propri appetiti. E il grosso di questo traffico viene, sì da alcuni paesi slavi, ma soprattutto dall’Africa, dove si è andato a strutturare un vero e proprio business attraverso la collaborazione di soggetti autoctoni con organizzazioni la cui base operativa è ormai fissa in Italia. Il fenomeno delle bande criminali nigeriane nel nostro Paese ha infatti conosciuto un grande sviluppo negli ultimi dieci anni, tanto da generare una nuova “mafia” che opera a stretto contatto con quelle italiane. La specializzazione, oltre allo spaccio di stupefacenti, è ovviamente la tratta di ragazze africane da inserire nel giro della prostituzione, e pare che i tentacoli di simili organizzazioni siano arrivati anche qui nell’alessandrino. Del resto, proprio la storia della diciannovenne sottratta nei giorni scorsi ai propri aguzzini (la ragazza si trova ora in una comunità protetta), a cui pare fosse stato promesso un lavoro da parrucchiera una volta arrivata in Italia, e che ai tempi era ancora minorenne, potrebbe esserne una prova.
Perché così tanti criminali proprio dalla Nigeria?
Forse i più si sorprenderanno, ma quello nigeriano è un territorio straordinariamente ricco. Il Paese galleggia letteralmente sul petrolio, e quel petrolio è addirittura fra i più puri del mondo. Non che si possa fare il pieno all’automobile direttamente dal pozzo, ma quasi. E ciò non è ovviamente sfuggito a quelle potenze occidentali che, complici élite locali conniventi, non fanno che depredare l’Africa da quando vi hanno messo piede (nel suo piccolo, l’Italia non fa eccezione). Per un Paese come la Nigeria, poi, la questione è ancora più complessa, perché una tale ricchezza, unita alle dimensioni considerevoli della Federazione (la Nigeria è una Repubblica Federale comprendente trentasei stati), ha fatto sì che tutto sommato il PIL crescesse molto di più che nella maggioranza degli altri paesi dell’Africa Subsahariana, dando origine, non certo ad un benessere diffuso (da questo si è molto lontani, specie in certe aree), ma quantomeno alla formazione di una classe media concentrata specialmente nella capitale Abuja ed in altre città maggiori come Lagos. Il che, se può considerarsi senz’altro un bene, è nondimeno indice di quel processo forzato di occidentalizzazione che in Africa, in certi paesi più che in altri, ha innescato cortocircuiti sociali tali da favorire una corruzione endemica e la diffusione di una sorta di “gangsterismo” che ha molto in comune con quello di certe realtà statunitensi e sudamericane. Dove infatti vi sono diseguaglianze sociali enormi e la logica consumistica prende totale sopravvento sulla tradizione, dove si passa dai grattacieli del centro di Lagos – una megalopoli che coi suoi oltre sedici milioni di abitanti è la terza del mondo per grandezza – alle “favelas” in stile Rio de Janeiro che vi stanno attorno, è più facile che si formi un substrato criminale assai eterogeneo e dalle lunghe ramificazioni. E la mancata strutturazione di una classe politica realmente affrancata dal dominio coloniale, e quindi profondamente invischiata negli interessi degli sfruttatori del proprio Paese, fa il resto.
Il business dei migranti
Bisognerebbe allora cominciare a rendersi conto che i nigeriani (così come molti altri africani) sbarcati in Italia nell’ultimo decennio lo hanno fatto, e continuano a farlo, per lo più sotto la spinta dei “funzionari” di chi dalla loro emigrazione guadagna, non solo in termini di danaro, ma anche di potere, poiché, se nel Paese di origine ci si libera di braccia giovani e forti che potrebbero andare a rimpolpare i movimenti panafricanisti locali, creando seri problemi all’establishment egemone, ai piani alti di quello di approdo si anela un duplice vantaggio: il contenimento/abbattimento dei salari grazie all’introduzione nel mercato di soggetti disposti ad accettare condizioni ben al di sotto degli standard ritenuti degni dall’italiano medio, e lo sviluppo di un sottoproletariato dai grandi numeri che, all’occorrenza, favorisca l’esplosione di una vera e propria guerra fra poveri (allogeni e autoctoni) dalla quale i dominanti uscirebbero, non solo indenni, ma con benefici assicurati da un’attenta gestione della stessa. Senza contare che poi, in tutto questo, s’inserisce la macchina della criminalità organizzata, la quale, grazie alle peculiari condizioni sopra descritte (e ad alcune criticità che compromettono la stabilità del Paese), ha gioco facile nel reclutare, da un lato veri e propri delinquenti disposti a fare all’estero ciò che probabilmente già facevano a casa propria con minor profitto e maggiori rischi, e dall’altro quella moltitudine di giovani ragazze che, inconsapevoli di cosa le aspetti al di là del mare, si ritroveranno sfruttate magari dai loro stessi connazionali.
Un senso di colpa che incatena
La verità è infatti che alla base di certe migrazioni c’è quasi sempre un inganno. Migliaia di persone vengono indotte ad emigrare sulla base di disegni di ordine politico e criminale, tanto che analisti del calibro di Gianandrea Gaiani, esperto di questioni internazionali e direttore del sito web Analisi Difesa, parlano di vere e proprie organizzazioni dedite ad incentivare le pratiche migratorie attraverso una propaganda magnificante la situazione dei paesi europei e le prospettive da essi offerte ai nuovi arrivati. Facile allora immaginarsi la frustrazione, e in molti casi la disperazione, di chi mobilita amici e famigliari per racimolare somme considerevoli (specie in certi paesi) da destinare ad un viaggio della speranza che si risolverà il più delle volte, o con un nulla di fatto, perché quell’eldorado promessogli non esisteva, oppure addirittura in un vero e proprio incubo di violenza e vessazioni (se non di morte in mare). Ed è proprio Gaiani a spiegare come molti africani sradicati dalle loro terre attraverso gli inganni più spregevoli si ritrovino “intrappolati” anche quando liberi, poiché ciò che li ingabbia è la vergogna per aver deluso in qualche modo le aspettative di chi, in Africa, aveva investito su di loro aiutandoli a partire (la famiglia, per esempio), e a cui invece non sarà possibile fornire l’aiuto sperato. Normale allora che i “caporali” facciano affari d’oro e che il racket dell’accattonaggio assoldi facilmente nuovi elementi, mentre altri si ritroveranno in quello dello spaccio finendo col delinquere qui per la prima volta, stritolati in un meccanismo che li deruba financo della propria integrità.
La politica italiana non ha saputo risolvere questo problema
Ma di tutto questo, alla maggioranza dei nostri politici non sembra interessare. Troppo impegnati a coccolare i rispettivi elettorati spostando sempre l’attenzione lontano dal centro delle questioni: a destra presentando gli immigrati come cause invece che come effetti (effetti di precise politiche occidentali che ne inducono la migrazione), e a sinistra recitando la parte degli “accoglienti” a prescindere salvo poi lavarsi le mani, tanto di chi viene gettato nel tritacarne della finta accoglienza, quanto degli italiani maggiormente in difficoltà. Risultato: miseria, rabbia sociale, sviluppo della criminalità, insicurezza diffusa, emarginazione.
Ecco quale sfondo si cela all’ombra di storie come quella da cui siamo partiti. Ed ecco cosa tende ad ignorare chi, in un modo o in un altro, è solito approcciarsi a simili questioni con estrema superficialità e in modo smaccatamente ideologico.
Nel frattempo, fra le scemenze di chi inneggia ai porti aperti a tutti – fantasticando su un mondo che esiste solo nella propria testa – e la fuffa di chi segnala ossessivamente la pagliuzza (gli immigrati) fingendo che la trave (la morsa dell’Occidente in Africa) non esista, tutto prosegue come da copione: il continente nero resta la solita terra di conquista, e quello europeo marcia ebbro verso la dissoluzione.