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L’Eni gonfia di gas l’Egitto che ora vuole annettersi la Libia grazie all’Italia

15 Aprile 2019 admin MONDO 124

L’Eni gonfia di gas l’Egitto che ora vuole annettersi la Libia grazie all’Italia

Roma (Libre) – Non è da scartare l’idea che l’Italia possa inviare il suo esercito in Libia, prima che la situazione esploda davvero. Il vero motore del caos nordafricano? Non è neppure la Libia, ma l’Egitto. Tutto “merito” dell’Eni, che al largo delle coste egiziane ha scoperto il giacimento di Zhor: è il maggiore deposito di gas del Mediterraneo, esteso su 100 chilometri quadrati. Un mare di gas, che proietta l’Egitto – di cui la Cirenaica di Haftar è una “dépendance” – verso un ruolo leader, nella regione. L’altro problema è che Haftar ha bisogno di Tripoli, per poter esportare il petrolio cirenaico. Da qui il tentativo di abbattere con una guerra-lampo il fragile regime di Serraj. In altre parole: è il controllo energetico la chiave della crisi geopolitica. Tutto il resto – il solito risiko delle potenze, dal Golfo all’Europa, dagli Usa alla Russia – è un gioco di rimbalzi e contromosse. Il vero nodo è rappresentato proprio dal gas egiziano, che dovrebbe rendere l’Egitto autosufficiente dal punto di vista energetico e trasformarlo in paese esportatore. Subito dopo le rilevazioni di Zohr sono iniziate trivellazioni al largo delle coste di Israele, Libano, Cipro e Turchia, con buone probabilità di altre scoperte. In ogni caso, il solo giacimento di Zhor cambia lo scenario geopolitico mediorientale, facendo dell’Egitto un attore ben più potente del passato.
Peraltro la guerra del 2011 ha declassato la Cirenaica al rango di satellite egiziano, incarnato dal regime di Haftar. Come è noto, la parte più rilevante dei giacimenti petroliferi libici si trova in Cirenaica, tuttavia questo non significa che Haftar ne abbia il controllo pieno e possa disporne come gli pare: per un complesso gioco di ragioni (non ultima l’accesso al gasdotto algerino che collega l’Africa settentrionale all’Europa) il generale filo-egiziano non è in grado di commercializzare il suo greggio sin quando c’è Serraj a Tripoli, e questo spiega il suo costante tentativo di abbattere il rivale e unificare tutta la Libia sotto il suo dominio. Dunque una Libia unificata sotto l’egida del Cairo diventerebbe un formidabile polo di attrazione per i paesi confinanti: dal Nord Sudan, che soffre ancora delle ferite della secessione delle province meridionali, all’Algeria in piena crisi del sistema politico, alla Tunisia sempre insidiata dal radicalismo islamico, sino alla Turchia dove il regime di Erdogan è il declino e con il quale si litiga per il ruolo dei Fratelli Musulmani. Insomma, un effetto domino che potrebbe trasformare del tutto il Medio Oriente: e data la posta in gioco, si capisce l’interesse di molti a metterci il dito.
Russia, Francia e Arabia Saudita sono schierate con Haftar, mentre l’Europa (tranne la Francia) sta dalla parte di Serraj, insieme agli Usa e al Qatar. Dopo la conquista di Bengasi, il generale amico del Cairo non ha affrontato grandi combattimenti campali, ma ha effettuato veloci incursioni impadronendosi di varie zone versando più dollari che sangue. E forse anche per questo l’Europa non si è preoccupata più di tanto dell’offensiva su Tripoli, nella convinzione che si tratti solo di un espediente propagandistico di Haftar per tornare a sedersi al tavolo delle trattative con più forza contrattuale. Ma questo calcolo potrebbe dimostrarsi sbagliato in quanto le cose si sono spinte troppo oltre, questa volta si combatte sul serio (comincia ad esserci il primo centinaio di morti) e ai cirenaici potrebbe costare caro fermarsi o tornare indietro. Il fatto sarebbe vissuto come una sconfitta: non solo tornerebbero al tavolo delle trattative indeboliti, ma per l’effetto psicologico della sconfitta correrebbero il rischio di perdere quelle zone di Fezzan appena conquistate.
A sua volta, Haftar ha fatto male i suoi conti poiché una vera e propria guerra prolungata non è quello che cerca e non è nei suoi interessi, per cui ha pensato che il regime di Serraj si sarebbe facilmente sfaldato sotto la pressione della sua colonna di blindati. In effetti le forze di Tripoli sono inferiori e c’è sempre da contare sulle defezioni prezzolate. Da qui l’illusione di una guerra-lampo che mettesse la comunità internazionale davanti al fatto compiuto. Ma i cirenaici avevano sottovalutato il nucleo delle forze di Medina, leali a Tripoli, determinate a combattere e molto ben addestrate dal Quatar. La marcia trionfale s’è già fermata, lasciando spazio alla diplomazia: gli americani, che avevano ritirato il loro contingente (forse dando per scontata la vittoria dei cirenaici) hanno deciso di tornare, mentre la Francia inizia ad essere in serio imbarazzo, e infatti non ha dato il via libera all’assalto finale. Con Haftar restano i finanziatori sauditi, gli egiziani che continuano a fornire armi e soprattutto i russi, che potrebbero essere seriamente tentati di inviare tecnici e contractors vari. Solo che, a quel punto, anche gli indecisi americani e i pavidissimi europei potrebbero decidere di intervenire. Scenario: la guerra potrebbe diventare molto più lunga e sanguinosa delle previsioni. Rischieremmo una nuova Siria, per di più ad un braccio di mare dalle coste italiane. Sicuri che sia così sbagliata l’idea che l’Italia sbarchi in Libia con i carri armati?

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