Alessandria (Max Corradi) – Qualcuno si ricorda della canzone di Giuseppe Povia “Luca era gay”? Con uno sforzo di memoria, il sottoscritto ha rammentato se non altro le polemiche di quel periodo intorno al suo testo. Polemiche che, qui nell’alessandrino, sembrano riaccendersi all’improvviso in occasione di un incontro nella parrocchia di San Michele in cui proprio il Luca della canzone, tale Luca Di Tolve, parlerà della propria esperienza personale narrata nel libro “Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso”.
L’incontro, organizzato da Alberto Bisio del comitato “Difendiamo i nostri figli” di Alessandria e Valenza, in programma per stasera alle 20.45 nella sala polifunzionale della parrocchia, ha certo un titolo che si presta ad interpretazioni e quindi alle critiche delle associazioni LGTB e affini: “Dall’omosessualità alla libertà di essere se stessi”. E queste critiche sono puntualmente arrivate dal collettivo “Non una di meno” di Alessandria, che accusa gli organizzatori di voler promuovere il binomio omosessualità-malattia e, di conseguenza, un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei gay. L’organizzatore, dal canto suo, si difende ribadendo che all’incontro non si parlerà di malattie e di guarigioni. L’omosessualità “non è una malattia mentale – sottolinea Bisio –, non teniamo a far passare questo messaggio e ci mancherebbe ancora. Abbiamo invitato Di Tolve perché possa portare la sua testimonianza. Bisogna accettarla: non esistono testimonianze di Serie A o di Serie B”. Solo che le polemiche continuano, e questo anche perché l’evento ha ottenuto il patrocinio del Comune di Alessandria. “Seriamente è accettabile – dicono da ‘Non una di meno’ – che un sindaco patrocini il Pride, dissociandosi però dal suo contenuto, e, allo stesso tempo, patrocini un evento in cui c’è chi sostiene che le persone omosessuali siano da curare? Perché il sindaco non si dissocia pubblicamente anche da questa tipologia di eventi, come si è premurato di fare con il Pride?”.
Ora, le ragazze e le donne di “Non una di meno” non hanno tutti i torti. Cuttica di Revigliasco, ultimamente, sembra non azzeccarne una, e in effetti il patrocinio Comunale al Pride e quello concesso all’incontro a San Michele appaiono un po’ in contraddizione. Va bene che ognuno deve essere libero di esprimere le proprie idee e che un Sindaco debba farsi garante di tale libertà, ma concedere il patrocinio ad un evento, diversamente dalla sola autorizzazione, significa, se non condividerne ogni singola sfumatura, quantomeno farne proprio lo spirito. E che Cuttica possa condividere parimenti lo spirito degli organizzatori del Pride e quello di un comitato interessato a porre attenzione sulla vicenda personale di un “ex gay” (ora marito e padre di famiglia – non arcobaleno –) dibattendone in parrocchia, potrebbe ragionevolmente apparire una forzatura.
Dov’è che però “Non una di meno” prende a nostro avviso una cantonata? Quando dichiara quanto segue: “ll vero nodo politico è il fatto che questo evento (l’incontro di stasera a San Michele, n.d.r.) sia stato patrocinato dal Comune di Alessandria. In nome di cosa? Chiaramente di quanto di più abusato ci sia nell’attuale dibattito pubblico: la libertà di espressione. Ecco che ancora una volta ci troviamo costrette a porre l’accento su quale sia la doverosa distinzione tra chi tutela diritti e chi invece vuole negarli”, con probabile riferimento al fatto che Bisio e i suoi possano essere contrari a molti dei diritti rivendicati dai militanti LGTB.
Quindi, la libertà di espressione va tutelata “sì, ma”, e chi promuove diritti sta sostanzialmente dalla parte del giusto rispetto a chi li vorrebbe limitare. Il che significa in sostanza: io devo potermi esprimere con tanto di patrocinio comunale in favore della conquista di un diritto che porterà ad una società migliore secondo il mio punto di vista, mentre tu che, per la stessa ragione, quel diritto ritieni debba essere negato, non puoi.
Ebbene, così non può funzionare. E non può funzionare perché, in democrazia, ognuno dovrebbe avere il diritto di promuovere il modello di società che crede purché lo faccia nel rispetto delle regole democratiche. Finché non si tratta di prodursi in propaganda eversiva, ovvero di lavorare per un rovesciamento dell’attuale regime democratico, o di agire in qualche modo contro la legge, nessuno dovrebbe avere la pretesa di delegittimare le idee di chicchessia. Le ragazze di “Non una di meno”, se lo credono, devono potersi sentire legittimate (ad esempio) a volere che anche in Italia sia introdotto il diritto a praticare la cosiddetta “gestazione per altri”; parimenti, quelli del comitato “Difendiamo i nostri figli” devono potersi sentire legittimati nella propria ipotetica volontà di veder negato il diritto all’esercizio di tale pratica qui da noi. E tutto questo perché, con buona pace della signora Thatcher, la società esiste eccome, ed è un organismo plasmato proprio dai diritti e dai doveri che lo Stato sceglie di concedere e di imporre ai propri cittadini, e quindi ai singoli. Concedere un determinato diritto individuale o non concederlo significa marcare un certo ordine sociale invece che un altro, e pertanto determinare ripercussioni, non solo a livello individuale, ma anche collettivo. Tant’è che se ognuno è senza dubbio autorizzato a credere che la propria idea di società sia quella giusta, a sentirsi moralmente superiore ad altri e a promuovere, entro i termini sopra indicati, il proprio concetto di bene, pare sensato che ciò debba valere per tutti. Sarà poi la sensibilità e l’intelligenza dei singoli a determinare il successo di un’idea o la sua marginalizzazione nel contesto sociale. E che questo non sembri esser compreso proprio da chi figura tra le file dei relativisti più convinti, ovvero di chi, in teoria, rigetta ogni tipo di assolutismo (religioso in primis) e quindi di totalitarismo, ci lascia un po’ perplessi.
Che allora si dica che gli aderenti ai vari Pride d’Italia e del mondo vanno bene e i Pro-life no, per altro sulla base di un concetto arbitrario come quello secondo cui la società in cui si concedono più diritti individuali è la più giusta, felice, armoniosa eccetera, ci pare di fatto una scappatoia per evitare il confronto di idee e la negazione stessa dei principi sbandierati da chi è solito tesser le lodi della democrazia fintanto che questa premia la propria parte. E cosa c’è di più illiberale di questo?
Il sindaco Cuttica dà il patrocinio al Gay Pride ma anche alla manifestazione opposta dal titolo “Dall’omosessualità alla libertà di essere se stessi”
