Roma (Sonia Oliva) – Stamane all’alba il nodo Autostrade per l’Italia è stato sciolto. Dopo sei ore di Consiglio dei Ministri, è stato raggiunto l’accordo: esce la famiglia Benetton, entra lo Stato. In sintesi, l’intesa trovata è questa: Società Autostrade diventa così una compagnia pubblica, una società ad azionariato diffuso (S.a.d.) cioè, una società (quotata in borsa), il cui capitale viene suddiviso tra più investitori, nessuno dei quali può però prendere posizioni “di indirizzo” perché il potere decisionale viene detenuto da un team di professionisti guidati da un amministratore delegato. Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), la “compagnia pubblica” controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (che ha la finalità di promuovere la crescita del Paese), entra dunque in Autostrade. I Benetton all’inizio di questa nuova fase, deterranno il 10% delle quote per scendere gradualmente a zero nell’arco di un anno e far abbassare definitivamente “la sbarra del telepass” di una gestione che, i soliti ben informati, non esitano a definire malsana e poco limpida, della holding Atlantia.
Date precise anche sui tempi di attuazione dell’accordo. Cassa Depositi e Prestiti è al lavoro per avviare il negoziato in modo da entrare nell’assetto azionari di ASPI (di cui CDP diventerà socio di maggioranza prima della fine di luglio, precisamente entro il 27 del mese). L’ingresso di cassa depositi e prestiti nel capitale al 51%, rende Aspi (acronimo di Autostrade per l’Italia Spa) una “compagnia pubblica”.
Una rete autostradale sviluppata su una lunghezza di 3.020 chilometri con più di 200 aree di servizio per 15 regioni e 60 province italiane. La maratona notturna del Consiglio dei Ministri che ha portato all’accordo, prevede “misure compensative ad esclusivo carico di Aspi per l’importo totale e complessivo di 3,4 miliardi di euro, oltre all’accettazione della disciplina tariffaria introdotta dall’Autorità di regolazione dei trasporti con una significativa moderazione della dinamica tariffaria”. Dagli atti firmati all’alba, sono previsti più controlli a carico del concessionario e un aumento delle sanzioni “anche in caso di lievi violazioni da parte del concessionario”. Ma non solo. Per procedere e rendere definitivi i dettagli dell’accordo, Conte si è dimostrato irremovibile e ha preteso ha preteso la manleva per la parte pubblica, di tutte le richieste risarcitorie collegate al crollo del ponte Morandi a Genova, costato la vita a 43 persone. Il Premier ha mantenuto una posizione ferrea, dichiarando al tavolo del Consiglio dei Ministri: “O Aspi accetta entro stasera le condizioni che il governo le ha già sottoposto oppure ci sarà la revoca”. Le anticipazioni della vigilia prevedevano tre ipotesi sul tavolo: l’uscita consensuale della famiglia Benetton da Aspi, la riduzione del loro ruolo attraverso un aumento di capitale e il passaggio di mano a una società pubblica (come Cdp) o la revoca definitiva della concessione, con tutto ciò che ne consegue in termini di contenzioso e di eventuali ricadute occupazionali”. Conditio sine qua non accettata. È stato, infatti, sottoscritto che Aspi rinuncerà a tutti i giudizi promossi in relazione alle attività di ricostruzione del ponte Morandi, al sistema tariffario “compresi i giudizi promossi attraverso le delibere dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), i ricorsi per contestare la legittimità dell’articolo 35 del Decreto Milleproroghe e l’accettazione della disciplina tariffaria introdotta dall’ART con una significativa moderazione, appunto, della dinamica delle tariffe”.
Cassa Depositi e Prestiti ha la maggioranza di Autostrade, Benetton al 10% (per ora)
