di Giusto Buroni (prima parte) – Fin da febbraio avevo scritto che “non avevo mai sentito parlare di una guerra combattuta a suon di numeri”. Eppure non si è fatto molto più di così e ci vuole una bella faccia tosta a sostenere che la guerra è vinta e che bisogna smettere di riempire di numeri la testa dei cittadini. Bisogna invece spiegare ai cittadini che cosa sono e a che cosa servono alcuni di quei numeri, dando loro la possibilità di selezionare scientemente quelli che contengono informazioni utili, scartando quelli che non servono al cittadino per partecipare attivamente alla “guerra”; già sottoporsi tempestivamente al test alla comparsa dei primi pur deboli sintomi costituisce collaborazione con la scienza e soprattutto con gli altri cittadini. L’esito del test contribuirà a modificare, se “positivo”, il “numero dei nuovi contagiati”, che è stato fondamentale all’inizio e lo è ancora alla fine della pandemia, se usato correttamente dagli “addetti ai lavori”, che non sono necessariamente degli “esperti”, come purtroppo ciascuno avrà constatato.
Stiamo distanti per essere fuori pericolo
La campagna indiscriminata contro i numeri, condotta da alcuni insigni professori e dai loro “comunicatori simpatizzanti”, contribuisce a rafforzare il movimento scandaloso dei “dimostranti contro le restrizioni” (giovani sfaccendati, probabilmente ex ambientalisti orfani di “Friday for Future”) e a ispirare a certi manager e governanti (ormai messi alle strette dall’inevitabile crisi economica) le prese di posizione simili a quelle che chiedono di riempire i trasporti pubblici senza distanziamento: proprio quei numeri che essi osteggiano, dovrebbero far loro capire che essi stessi, con la loro inettitudine, hanno causato l’attuale mancanza di strumenti tecnologici e prodotti farmaceutici migliori di quelli che esistevano un secolo fa (febbre spagnola) o addirittura quattro secoli fa (peste): se l’epidemia si estinguerà a breve sarà solo merito del “distanziamento sociale”, a scapito dell’economia e della stessa tecnologia, oltre che della reputazione della “Comunità Scientifica” attuale (che del resto già l’IPCC ha già abbondantemente screditato).
Bisogna saper leggere i dati
È dunque indispensabile che all’arrivo della seconda ondata i cittadini sappiano distinguere tra dati inutili e utili, respingano con i metodi democratici che saranno loro consentiti i dati inutili e usino quelli utili per collaborare fattivamente con la Protezione Civile e la Comunità Scientifica, possibilmente senza l’intermediazione politicizzata dei “mezzi di comunicazione”, alla scoperta di rimedi moderni e efficaci per la guarigione dei malati della prima ondata e la riduzione (annullamento) dei contagi della seconda.
L’enorme quantità di errori strategici commessi dai distributori di informazione (condizionati dalla politica) fa dubitare della buonafede dei membri della “comunità scientifica” e induce i professori faciloni a concludere che sia inutile informare il cittadino.
Per esempio un dato del tutto assurdo che ancora oggi è fornito, forse a causa dell’annullamento delle Olimpiadi, è la “classifica mondiale” per Nazioni del numero di contagiati e del numero di morti, che non ha mai tenuto conto di due fattori fondamentali: la data di inizio dell’epidemia nel singolo Paese e soprattutto la densità della popolazione (che influisce evidentemente sul numero di contatti tra persone e quindi sul numero di contagi, a parità di “virulenza del virus”, ammesso che qualcuno sappia come stimarla). In questa classifica l’Italia per lungo tempo apparve “sul podio”, addirittura subito dopo la Cina, ma ciò non poteva essere di nessuna utilità scientifica, mentre era chiaro che serviva moltissimo ai politici per andare a “piangere miseria” presso le autorità economiche europee e mondiali, dove si ragiona con logica burocratica (e magari anche sportiva, con tanto di “tifo”). Quando l’Italia scese da questo podio gli operatori finanziari restarono delusi come per una “medaglia di legno”.
Un’informazione corretta è molto utile
Sono inoltre fatti circolare, senza avvertenze sull’uso da farne, un sacco di dati che potrebbero essere usati solo da tecnici (statistici) in possesso delle formule dei “Modelli Matematici”; mentre al semplice “uomo della strada”, a cui interessa difendersi dall’assalto del virus o curarsi dopo il contagio, si dovrebbe mettere a disposizione in modo chiaro la situazione dell’epidemia alla fine di ogni giornata, non solo su scala nazionale, ma anche, se possibile, in ogni limitata area geografica (per esempio il quartiere in cui vive) o comprensorio (p.es. una Residenza per anziani, un ospedale, ecc.). E il numero aggiornato da fornirgli dovrebbe essere soltanto quello dei malati “attuali”, cioè al netto di quelli nel frattempo guariti o deceduti. Quindi si tratta di una tabella con solo tre “voci” (Attualmente Malati, Fino ad oggi Guariti, Deceduti, la cui somma dà il totale dei colpiti dal virus dall’inizio dell’epidemia), ma riguardante almeno gli ultimi otto giorni, in modo che a colpo d’occhio e senza troppi calcoli e ragionamenti si possa giudicare se gli andamenti delle tre categorie siano stabili, in crescita o in diminuzione. La prima voce fornisce l’informazione sulla gravità del contagio e sull’efficacia della prevenzione, la seconda quella della bontà dei trattamenti e delle cure, la terza quella degli errori commessi e da correggere (invece l’ISTAT, e i giornalisti idioti che devono credergli, ne hanno ricavato “il livello di cultura di chi non è stato così abile e forte da resistere al virus”).
A questa semplice tabella di tre voci ci si può poi sbizzarrire ad aggiungere una grande lista (sempre spalmata sugli ultimi otto o più giorni) fruibile da “specialisti” o semplici “curiosi” delle attività “scientifiche” scatenate dalla pandemia e precedentemente sconosciute agli stessi scienziati. I quali, perfino i più noti ciarlatani, tutti promossi sul campo a “professori”, finalmente hanno potuto fare sfoggio dell’abissale ignoranza, imperizia e cinismo; e questo a livello globale: dall’“antica” Cina ai “moderni” Stati Uniti, passando per la “saggezza” degli Indiani e la “filosofia” degli Europei. Resta fuori solo la povera Africa (ma non l’Arabia), dove qualunque piccola cosa succeda si trasforma in un’incontrollabile e difficilmente stimabile catastrofe (sull’Australia le informazioni sono come sempre molto scarse, ma non sembra che se la cavino meglio di altri).
Di fronte al virus siamo tutti uguali
Questi dati numerici da “specialisti”, che alimentano solo il panico in quelli che specialisti non sono, riguardano i “malati con sintomi o senza sintomi”, i contagiati appartenenti a “categorie a rischio”, suddivise anche per età, informazione che ben presto diede gli ottantenni per spacciati (e quindi “spacciabili”, dovendo scegliere) e i bambini e adolescenti come immuni (cosa di cui ancora e sempre più “si dubita”); e poi i “ricoverati in terapia intensiva”, i soggetti “curati a casa” e quelli in semplice quarantena o in isolamento volontario, i deceduti a causa del solo virus e quelli a cui il virus ha aggravato, fino ad ucciderli, una situazione già giudicata critica, per esempio oncologica o cardiologica; e poi ancora: i soggetti da intubare, ma rifiutati per lasciare posto a altri con maggiore probabilità di cavarsela, i malati selezionati per riempire i pochi letti tedeschi offerti dalla Merkel, i soggetti morti senza l’assistenza di un parente bloccato fuori dall’ospedale per le norme anticontagio, i soggetti che non hanno trovato posto neanche per la cremazione (e di queste scelleratezze alla fine non si sono cercati neanche i colpevoli). Ci fu un momento, in prossimità del “picco” della pandemia, in cui la somma delle varie categorie verosimilmente dava un numero superiore a quello presentato come totale dei contagiati (o deceduti), e così i più grandi professori, invece di andare a cercare e a correggere gli evidenti errori di conteggio, decisero all’unanimità che le vittime reali della pandemia erano almeno 10 (dieci!) volte più numerose di quelle “dichiarate per non spaventare la popolazione”. Gli stessi professori a distanza di mesi non smentiscono tali “intuizioni”, ma oggi sostengono addirittura che se allora si comunicavano dati apparentemente errati per difetto, oggi “si sbaglia” per eccesso, cioè si contano come malati anche molti soggetti che non lo sono: la pandemia infatti secondo i loro calcoli dovrebbe essere finita da tempo in base alle loro astruse, antiquate e approssimative formule previsionali e in questi casi per lo “scienziato DOC” la vince il “modello matematico”, contro qualunque evidenza sperimentale.
Contagi “di giornata” o già “in scadenza”?
Tornando ai tre numeri essenziali che ho citato, sarebbe troppo bello se si potesse davvero, eliminando gli altri, ragionare giudiziosamente soltanto su di essi. Ma i cittadini attenti dovrebbero avere ormai individuato un numero enorme di difficoltà che ne rendono impossibile la collocazione, specialmente nel tempo. Già si ignora quando (oltre che come) l’epidemia sia entrata in ciascun Paese, eppure si pretende di poter affermare con sicurezza, e regione per regione, il “numero dei nuovi contagi giornalieri”. Dovrebbe essere stato chiaro a tutti che una persona poteva essere dichiarata “contagiata” solo se sottoposta a “tampone” con risultato positivo (meglio se con la conferma di un secondo tampone positivo, si dice adesso). Infatti il Covid non è (ancora) come la peste bubbonica, che si riconosceva subito dalla comparsa di uno o più bubboni in varie parti del corpo: i sintomi sono invece identici a quelli di una qualunque influenza e solo l’effetto del tampone a contatto col “reagente specifico” può stabilire se si tratti di Covid o di cara vecchia influenza. Dato che in nessun Paese al mondo si riesce a sottoporre a tampone l’intera popolazione, magari una volta alla settimana, quei casi trovati, definiti “nuovi contagi del giorno”, non sono sicuramente “del giorno” e potrebbero essere in realtà vecchi di mesi, senza dubbio di settimane. Ci saranno certo stati decine di suggerimenti su come risolvere questo problema, ma i criteri adottati finora sono tutti inefficaci o anche controproducenti: inizialmente si è pensato di controllare subito, come è ovvio, tutti coloro che provenivano da Paesi ormai in preda all’epidemia, poi si è aggiunto il criterio di individuare le categorie a maggior rischio di contagio (come operatori sanitari, ma anche addetti al turismo o ai trasporti e simili) nella speranza di bloccare sul nascere i focolai; ma quando ci si accorse che i grossi focolai in Italia non riguardavano categorie “di frontiera” (all’ospedale di Codogno da dove venivano i primi ammalati? Non credo si sia mai saputo, ammesso che si sia indagato seriamente) le “autorità sanitarie”, prive di qualunque tipo di coordinamento, cominciarono ad abbandonare ogni logica, andando a “tamponare” chiunque avesse almeno tre sintomi (e poi solo due) di Covid, ma accorgendosi ben presto che anche così i soggetti da testare (compresi i “contatti” di tutti i soggetti con sintomi) sarebbero stati troppi rispetto alla disponibilità di… reagenti: le “autorità sanitarie” avevano completamente e colpevolmente trascurato di attrezzarsi con strutture, materiale, personale competente e protezioni per praticare i milioni di tamponi (giornalieri) che sarebbero stati necessari per localizzare e circoscrivere i focolai dell’epidemia (e non ci si deve meravigliare, visti i problemi di approvvigionamento onesto riscontrati anche su mascherine, guanti, camici, etc.).
Tamponi a caso
Così i test si fecero (o non si fecero) praticamente a casaccio e soprattutto su troppo pochi soggetti per poter alimentare un sistema di indagine basato solo sulla statistica, e cioè sulla disponibilità di “grandi numeri” per ogni categoria analizzata: i grandi numeri non ci furono mai, né ci sono oggi; e dove si sarebbero potuti trovare (le case di riposo e gli ospedali) si impedì di utilizzarli, per motivi di cui resterà per sempre impossibile dimostrare la liceità. E così si va avanti ancor oggi a contare “nuovi contagiati giornalieri”, che ormai sono per fortuna un paio di centinaia in tutta Italia, ma che potrebbero scendere a zero o salire a un paio di migliaia “a piacere”, a seconda che qualche “autorità” decidesse di praticare qualche decina o qualche decina di migliaia di tamponi. Questa situazione si presta a strumentalizzazioni politiche (e non solo) di ogni tipo, immaginabili o non. E solo recentemente si è cercato di rendere più credibile l’informazione rapportando il numero di contagi giornalieri al numero di tamponi eseguiti, scoprendo il trucco infantile che chiunque avesse interesse a mantenere alta la curva non aveva che da aumentare il numero di tamponi, possibilmente su settori di popolazione a maggior rischio: con molto più tamponi eseguiti rispetto al giorno prima è (quasi) garantito che si riscontrerà un numero maggiore di “contagi” (e viceversa, se si desidera “abbassare” la curva: basta ridurre il numero di tamponi eseguiti). Se invece si divide il numero di positivi per il numero di tamponi praticati in un dato giorno si ottiene il dato più realistico sul quale si dovrebbe costruire la vera “curva dei contagi”; cosa che non è mai stata fatta e che non si fa neanche oggi, che i numeri sono così piccoli che non hanno nessun senso se non sono rapportati al numero di tamponi eseguiti (che pure tendono a diminuire sempre più, per ordine strano delle “autorità sanitarie”, che avranno “dimenticato” di nuovo di rifornirsi di reagenti).
Analisi matematiche sballate
Sulla questione “numero di tamponi” si è lasciato che rimanesse un’ulteriore anomalia rispetto a quelle già descritte, che ha reso decisamente inaffidabile e incontrollabile il dato, perché anche il numero totale di tamponi praticati, che più sopra ho definito essenziale per stabilire l’andamento del contagio, non corrisponde per niente a un medesimo numero di persone sottoposte a tampone, specialmente da quando il numero dei “guariti” si è fatto consistente. Infatti nel conteggio dei tamponi praticati si è sempre compreso anche il numero di tamponi eseguiti su persone già malate per controllare se fossero guarite, con l’aggravante che servivano due test negativi, neanche vicinissimi nel tempo, per dichiarare una persona guarita. Insomma, il “numero di nuovi contagi giornalieri” che ci è sempre stato fornito è sempre stato inquinato, spesso gravemente, da:
- test eseguiti in ritardo rispetto alla comparsa dei sintomi o alla scoperta di focolai o di contatti;
- risultati pervenuti in ritardo per cause varie (festività, problemi informatici, ecc.);
- test ripetuti per vari motivi;
- test relativi alla conferma di guarigioni;
- scarsa rappresentatività o eccessiva specializzazione del campione;
- norme per la validazione dei risultati dei test
Problemi analoghi si hanno anche sulla precisione dei test sierologici e non staremo ad elencarli.
Chi la sa lunga ha pagato dazio
Si noti che con gli attuali metodi di test tali difetti non sono eliminabili neanche considerando la media dei risultati su alcuni giorni (per esempio: “oggi” e i sei precedenti); anche l’entità dei ritardi è molto variabile e praticamente sconosciuta e perciò non si riuscirebbe mai a ricostruire la tempistica dei contagi neanche con tutta la buona volontà da parte dei “ricercatori”. Recentemente poi ci si sente ripetere che l’“età media dei contagiati va diminuendo” e giornalisti e pubblico dimenticano che è andato sempre più decrescendo l’interesse per i contagi delle “categorie fragili”, che chi era veramente debole è “purtroppo” deceduto (come previsto e come voluto) e che i tamponi si praticano a soggetti sempre meno anziani, per cui è normale che anche i positivi trovati siano più giovani, senza che si possa affermare che gli anziani adesso si ammalino meno di prima per strane mutazioni del virus. Un altro fatto curioso è che i Paesi colpiti più tardi degli altri non hanno fatto tesoro delle esperienze (e degli errori) dei Paesi meno fortunati, come Italia e Cina, che hanno preceduto tutti). Sarà stato per “orgoglio nazionale”, ma alcuni Paesi ritenuti da sempre “avanzati” e socialmente evoluti (come la Svezia, il posto più adatto a generare una smorfiosetta che accusa i nonni di avere rovinato il futuro dei nipoti) hanno proprio fatto la figura degli sprovveduti, che hanno mandato a morire migliaia di vecchi, giudicati deboli e inutili, sacrificati come ai tempi della Rupe Tarpea (o della “pulizia etnica”); e la storia non è ancora finita. Insomma c’è una disastrosa mancanza di logica, nonostante i sei mesi di esperienza e di pretesi studi, che purtroppo non è percepita né dalle autorità, né dai professori, né dai giornalisti, né dai contagiati: e in queste condizioni ci prepariamo ad affrontare la seconda ondata! (per la cronaca, oggi 29/7 l’OMS afferma che l’ondata è “unica” e procede a tempo indeterminato senza arrestarsi, finché non avrà spazzolato tutto il Pianeta; non c’è da meravigliarsi se domani predirà il contrario).
Più metri e più misure
Un altro espediente per truccare il dato dei contagi secondo la volontà dei politici è quello di modificare la sensibilità dei reagenti dei tamponi. La faccenda non è mai stata descritta in questi termini, ma si è scoperto a un certo punto che lo strumento che stabilisce la positività può essere impostato per scoprire “quantità” di virus più o meno piccole; insomma, si può amplificare a piacere la reattività del tampone al virus e fare apparire “positivo” un soggetto che, sottoposto a tamponi “standard”, non lo era mai stato. E ciò mette in dubbio l’omogeneità del test nei vari Paesi, perché a seconda di come è calibrato lo strumento (e a seconda del partito del ministro della salute), si potrebbe risultare positivi in Svezia e negativi in Italia e viceversa.
È stupefacente come nessun professore e nessun politico si siano mai esposti a confutare il dato dei “nuovi contagiati”, che per giorni e mesi ha fatto stare col fiato sospeso i cittadini desiderosi di conoscere “l’andamento” (anche geografico) della pandemia, dopo avere scoperto la magia della Curva dei ContaGGi. Tutti a bocca aperta ad aspettare prima il “declino della crescita” (che finisce di essere EESSPonenziale), poi il “raggiungimento del picco” (che divenne anche un “plateau”), poi la discesa lenta, lentissima, verso quello “zero” che tutti gli esperti avvertirono fin dall’inizio che non si sarebbe raggiunto mai (così è inesorabilmente l’andamento delle curve statistiche: sono “asintotiche”, ormai lo sanno anche i bambini). E, visto che lo zero non si raggiungerà mai, i “professori” hanno buon gioco a piazzare in un punto qualunque (dell’autunno) il momento in cui, “speriamo di no…”, arriverà l’inizio della seconda ondata. (continua)