Novi Ligure – Prosegue il calvario dell’Ilva con i destini di decine di migliaia di lavoratori appesi, ancora una volta, ad una decisione della magistratura. Il pericolo, questa volta, nel caso il Consiglio di Stato non accolga le richieste avanzate ArcelorMittal e dai commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria, è il fermo di tutta l’area a caldo. E a seguire la possibile rinuncia dello Stato ad entrare nel capitale della società al fianco di Mittal. Si aprirebbero, in questo caso, scenari difficili da immaginare e che, probabilmente, per l’ennesima volta, obbligherebbe il governo ad intervenire in extremis con un nuovo decreto salva-Ilva. Il Consiglio di Stato era chiamato a decidere se sospendere o meno la sentenza dei giudici amministrativi di primo grado che a febbraio avevano confermato l’ordinanza con cui a inizio 2020 il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, dava 60 giorni di tempo al gruppo per eliminare le criticità della mega-fabbrica sul fronte delle emissioni inquinanti. L’udienza, davanti alla Quarta commissione del Consiglio di Stato, è durata un paio d’ore. La decisione dei giudici, attesa con una certa apprensione a Taranto come a Roma, è attesa per oggi. Con ricorsi diversi, sia ArcelorMittal Italia sia Ilva in As, avevano chiesto di bloccare la sentenza con la quale lo scorso 13 ottobre il Tar Lecce aveva ordinato ad ArcelorMittal di spegnere entro 60 giorni gli impianti ritenuti inquinanti. Al loro fianco anche Invitalia, la società del Tesoro che in base agli accordi siglati a dicembre effettuerà l’investimento per conto dello Stato sottoscrivendo un aumento di capitale a favore di ArcelorMittal (400 milioni in cambio del 50%) entrando così nella governance per favorire la tanto attesa riconversione del gigante siderurgico. Contro la richiesta di sospensiva, oltre al Comune di Taranto, si sono invece schierati la Regione Puglia ed il Codacons che avevano ritenuto la richiesta “inammissibile [perché] il diritto a fare impresa non può avvenire mai sulla pelle, sulla salute e sulla vita delle persone”.
Se venisse, a questo punto, accolta la richiesta di sospensiva, come pare probabile in attesa della sentenza di merito attesa per il 13 maggio, il conto alla rovescia per lo spegnimento degli impianti sarebbe fermato. In caso contrario ArcelorMittal e Ilva in As sarebbero costrette a procedere con la fermata degli altiforni. Inutile dire che per la tipologia di questi impianti lo spegnimento dell’area a caldo equivarrebbe alla chiusura, alla morte dell’ex Ilva, con tutto quello che ne conseguirebbe sul piano sociale ed occupazionale.