Buongiorno e buon sabato,
l’incrocio tra politica e sport ha una storia piuttosto lunga, caratterizzata dal fatto di diventare quasi sempre teatro di polemiche. Circostanza in qualche modo scontata, visto che combina due fattori ad alta suscettibilità: la politica schiera argomenti delicati e spesso divisivi, lo sport ci mette il suo ruolo di vetrina per un pubblico di milioni e milioni di persone. Il risultato di questa miscela può anche diventare materia da libro di storia: ricordiamo tutti la protesta per i diritti civili alle Olimpiadi di Messico 68, cioè il pugno chiuso nel guanto nero di Tommie Smith e John Carlos nella premiazione dei 200 metri (ma anche la solidarietà spesso dimenticata del secondo classificato, l’australiano Peter Norman, espressa da un adesivo sulla tuta). Non sorprende quindi che tra una partita e l’altra degli Europei di calcio si discuta molto dei giocatori che (non) si inginocchiano per aderire alla campagna Black Lives Matter contro il razzismo o degli stadi che (non) si colorano con l’arcobaleno per condannare la legge antigay varata da Viktor Orban in Ungheria.
Con tutta l’attenzione e l’audience verso gli stadi che ospitano la competizione, la risonanza di quei gesti può davvero risultare potente. Ed è quindi un peccato che il dibattito intorno a questi temi finisca spesso per inciampare in una gestione poco costruttiva. Prendiamo il caso dei giocatori della Nazionale di Mancini. Nell’ultima partita si sono inginocchiati in cinque, scatenando una serie di domande: perché così pochi? Gli altri non hanno voluto farlo o non sapevano? C’è una divisione nella squadra? E via così, passando dalle domande alle analisi sociologiche, a volte un po’ avventate. E dalle analisi alle pressioni, che caricano di un peso importante scelte che avrebbero dovuto essere meditate in anticipo. C’era tutto il tempo per farlo: sono mesi che negli stadi di molti Paesi del mondo ci sono atleti che si inginocchiano, si sapeva che il tema sarebbe stato d’attualità agli Europei. Allora perché non affrontarlo per tempo, far confrontare i giocatori, prendere atto della loro volontà, spiegarla e non dover rincorrere una decisione che a questo punto sembra tutto fuorché spontanea?
Un balbettio confermato dalle parole di ieri sera di Leonardo Bonucci, che ha rinviato la scelta a una riunione notturna tra i calciatori. Che quindi non si inginocchieranno stasera contro l’Austria. O forse sì. Io penso che dovrebbero farlo, ognuno comunque tragga le proprie valutazioni.
Evitiamo soltanto di incorrere in un grave errore. Quello di dimenticare tutto al prossimo – speriamo davvero che arrivi, intendiamoci – gol della Nazionale. Perché i diritti civili, la lotta al razzismo, l’impegno contro le discriminazioni sessuali sono temi capaci di definire la qualità di un’organizzazione sociale: una famiglia, una squadra di calcio, una nazione. E il torto più grande che potremmo fare a chi soffre in conseguenza di quelle battaglie sarebbe non continuare a parlarne e a sostenerle anche dopo il fischio finale della partita e la conclusione della diretta tv.
Il gol da segnare nella partita dei diritti
