Buongiorno e buon sabato,
fa male, molto male, vedere le immagini del terribile pestaggio avvenuto il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e rese pubbliche nei giorni scorsi.
Fa male pensando alle violenze patite dai detenuti a opera delle guardie carcerarie: violenze fisiche per i calci, i pugni, le manganellate, e violenze non misurabili con le ferite e i segni sul colpo come sono quelle inferte alla dignità di persone private della libertà per i reati accertati dai tribunali, ma non per questo da sottoporre a umiliazioni tremende. Un quadro peraltro reso ancora più grave dai tempi dei fatti, che risalgono alla prima fase della pandemia, quando il contagio presentava aspetti ancora largamente misteriosi e la paura era diffusa e più difficilmente controllabile.
Ma fa male anche perché la vicenda rappresenta una clamorosa violazione del patto tra i cittadini e lo Stato. Noi affidiamo allo Stato la gestione di una parte assai rilevante delle nostre vite, come è il caso dell’amministrazione della giustizia e dell’esecuzione delle condanne. E lo facciamo in virtù del principio che sottrarre alcune dimensioni della nostra esistenza all’arbitrio individuale sia indispensabile per vedere garantito l’interesse collettivo in maniera oggettiva. L’idea di fondo è fare un passo indietro come singoli per far vincere il Bene, far progredire una comunità. È uno dei pilastri della convivenza democratica.
Quando lo Stato tradisce questo patto ci sentiamo feriti, deboli, indifesi. È vero, anche noi – non tutti, certo – a livello individuale veniamo a volte meno a questo contratto, quando violiamo le norme che regolano il vivere insieme. Ma quando a farlo è lo Stato è infinitamente più grave, perché lo Stato agisce su un mandato collettivo, rappresenta milioni di persone ed è il collante e il difensore dei loro bisogni e dei loro interessi.
È come se si aprisse una crepa nella casa in cui abitiamo e quella emersa nel carcere “Francesco Uccella” è profonda. Perché a quanto emerso fino a oggi, il pestaggio è stata un’ingiustificata operazione organizzata, non un’improvvisa esplosione di violenza (che sarebbe comunque stata inaccettabile) e perché descrivendola in Parlamento a seguito di un’interrogazione, un esponente del precedente governo la definì un’azione “di ripristino della legalità”, parole che di fronte ai video che abbiamo negli occhi appaiono di assoluta gravità. Non stupisce che la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, abbia quindi parlato di un tradimento della Costituzione.
La crepa potrà essere almeno parzialmente sanata se le responsabilità del pestaggio verranno accertate in fretta e i colpevoli puniti, a ogni livello. E se passata l’emozione per l’episodio di Santa Maria Capua Vetere non torneremo a dimenticare che le carceri in Italia sono un’emergenza che deve essere affrontata e che denunce e allarmi che si susseguono da anni devono finalmente tradursi in condizioni di detenzione più umane.
Ma che questa vicenda avvenga a vent’anni dai fatti del G8 di Genova, con l’irruzione alla scuola Diaz e le violenze della caserma di Bolzaneto, ci dice anche un’altra cosa: che la qualità della vita democratica è qualcosa che non dobbiamo mai dare per scontata, per acquisita una volte per tutte. Va invece sostenuta e migliorata giorno per giorno: un compito che siamo tutti chiamati a svolgere.
Se lo Stato tradisce la democrazia
