Buongiorno e buon sabato,
questa settimana è capitato un fatto rilevante per la comunità del Secolo XIX, ma non solo.
Abbiamo ospitato la lettera che Papa Francesco ha scritto a Maurizio Maggiani in risposta a un testo che lo scrittore aveva pubblicato il 1° agosto nella rubrica domenicale che tiene sul nostro giornale.
Al centro dello scambio epistolare un tema estremamente importante: la dignità del lavoro.
Maggiani aveva preso spunto da un’inchiesta per sfruttamento del lavoro che ha coinvolto una famosa azienda che stampa libri, Grafica Veneta. Una brutta vicenda dove si parla di condizioni di violenza e schiavitù ai danni di alcuni lavoratori di una società che collabora con l’azienda. Grafica Veneta si dice essa stessa vittima, ma qui entriamo nel campo delle indagini e saranno i magistrati a dire come stanno le cose. Nell’articolo sul Secolo XIX Maggiani aveva espresso vergogna nello scoprire che anche i suoi libri venivano prodotti grazie allo sfruttamento dei lavoratori e chiedeva al Pontefice di aiutarlo a rispondere a una domanda: vale la pena di produrre belle opere se per farlo servono gli schiavi?
Un testo molto profondo, quello di Maggiani, che merita di essere riletto.
Altrettanto intensa è stata la risposta del Papa, che si è detto colpito dalle parole di Maggiani, al punto da rispondergli in modo estremamente netto: gli scrittori hanno la possibilità, anzi il dovere, di usare il loro talento per denunciare situazioni spesso trascurate.
Ma c’è un passo in più, sostiene il Pontefice, che è necessario fare: rinunciare ad abitudini e vantaggi che possono anche indirettamente danneggiare la dignità dell’uomo.
Vi consiglio caldamente di leggere le parole di Francesco.
Ora, anche se conosciamo la modernità di questo Papa, è certamente straordinario poter ospitare la sua risposta a un articolo di giornale. Un’attenzione di cui gli sono profondamente grato.
Ma l’aspetto prevalente della vicenda riguarda il merito, l’importanza dei temi affrontati da Francesco, temi di assoluta attualità: anche per questo il suo testo ha avuto una grande eco, con reazioni significative nel mondo della cultura e dell’informazione.
L’appello a una mobilitazione generale per difendere il lavoro e i lavoratori dimostra da una parte la volontà della Chiesa di essere contemporanea, di voler respirare lo spirito del tempo. Dall’altra, però, richiama tutti noi a un impegno molto chiaro e cruciale soprattutto in questa fase. Cioè tenere sempre al centro di ogni cosa il fattore umano.
Anche ora che tutti noi, come individui, come collettività, come Paese, siamo impegnati a cercare di recuperare quello che la pandemia ci ha sottratto e moltiplichiamo gli sforzi per far ripartire l’economia, ecco, non lasciamo che in nome di obiettivi certamente giusti e legittimi si sacrifichino i diritti delle persone.
Tenere l’uomo al centro, difendere la dignità del lavoro è il presupposto perché lo sviluppo che desideriamo sia il più possibile equilibrato e condiviso da tutti, non una condizione per pochi fortunati.
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