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Acqui e basta, le Terme non ci sono più: da città della bollente a città bollita

13 Febbraio 2022 admin_AG Lavoro 561

Acqui e basta, le Terme non ci sono più: da città della bollente a città bollita

Acqui Terme (Anna Briano) – Siamo arrivati alla fine. All’ultimo atto di una vicenda lunga cinquant’anni che ha visto la Città della Bollente ridursi a un paesone di 20.000 abitanti, in gran parte poveri. Chiudendo il Grand Hotel Thermes, non ha chiuso un albergo, ma una città intera che solo negli anni venti del secolo scorso era una perla per la sua storia, per il turismo termale, per la sua bellezza. Siamo arrivati all’ultimo atto d’un declino iniziato da tempo, ma che dal 2016 ha visto chiudere in rapida successione le strutture più importanti: una serie di alberghi, la Spa il Lago delle sorgenti, le Terme Regina e ora il Grand Hotel Thermes o delle Terme. Ma la realtà che non fa sconti ci dice che a chiudere è stata la città e i suoi abitanti. Anche perché se ha chiuso il Grand Hotel, per lo stabilimento termale si annuncia una riduzione delle attività rispetto a quanto comunicato a dicembre.
E così, mentre in tutto il mondo il Wellness è in fortissima crescita, ad Acqui si chiude. Quale il motivo? Perchè tutto ciò? Di chi è la colpa?
Tutto iniziò a precipitare nel 2000 quando l’impianto era di proprietà della Regione che deteneva l’81,1% delle quote e il resto era distribuito tra enti locali e, in piccola parte, imprenditori della zona. Alla cessione delle sue quote la Regione era arrivata dopo vari tentativi poco incisivi di rilancio anche perché la società aveva 7 milioni di debiti, i conti erano un disastro, serviva un piano concreto e serio. Una dozzina di anni fa entrò in scena Stefano Ambrosini, un grande esperto in salvataggi disperati di aziende alla frutta, sperando che le sue competenze potessero funzionare anche stavolta. E invece il patrimonio passò in pochi mesi da 27 a 15 milioni (anche se una perizia del Tribunale di Torino di qualche anno prima aveva trovato più di 60 milioni) e la cassaforte regionale decideva di vendere le quote ai privati. Un primo tentativo con la base d’asta fissata a 25 milioni andò deserto. Ma poi, l’imprenditore svizzero Gianlorenzo Binaghi, attraverso la South Marine Real Estate di Melide, in Canton Ticino, presentava un’offerta da 16,5 milioni. Dopo mesi, la trattativa tra gli svizzeri e Finpiemonte Partecipazioni tramontava (Regione) e quest’ultima dichiarava decaduta l’offerta. South Marine rinnovava l’offerta per 12,5 milioni e si aggiudicava le quote per 9,5 milioni. Ma la genovese Finsystems di Alessandro Pater, che deteneva appena l’ 1% delle quote societarie, decideva di far valere il suo diritto di prelazione. Intanto arrivava il Covid e crollava l’afflusso turistico, più che dimezzato. Il resto è storia recente.

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