di Bruno Quaranta – I piemontesi sono illuministi anche quando vanno in processione. E dunque non sono tentati di invocare il miracolo di Cana. Tanto più che nuotano in un mare color del vino. Ma, ciò nonostante, l’acqua scarseggia.
Come affrontare la siccità? Magari meditando una fra le prediche inutili (e domestiche) di Luigi Einaudi, il presidente-contadino, il signore del Dolcetto che alla sua morte contava un tesoro, un eden, di 251,5 giornate, fra il villaggio materno, Dogliani, e Barolo.
Nel segno del risparmio, Luigi Einaudi. Il dovere, l’urgenza, il cromosoma trasmesso di generazione in generazione nella sua terra. Dalla moneta, che a Torino circola (circolava) a velocità ridotta, come avvertiva una pubblicazione della Camera di Commercio non sfuggita al viaggiatore Guido Piovene, alle forbici d’argento che in provincia il padre regalava alla figlia il giorno nuziale per tagliare i coupons delle obbligazioni.
Discende per li rami l’avviso-ordinanza che il professore affisse nella casa di campagna, la settecentesca tenuta di San Giacomo, acquistata nel 1897. Tra gli imperativi: “Prima di aprire il rubinetto, chiudere (verbo in maiuscolo, ndr) il tappo. Lavarsi nell’acqua corrente è uno spreco inutile. Ci si lava altrettanto bene in poca come in molta acqua”.
E ancora: “Dopo lo scarico dell’acqua nel vaso, accompagnare colla mano la maniglia fino ad essere sicuri (sicuri maiuscolo, ndr) che non esca più neppure una goccia”.
Infine: “Usare i bagni a turno; e possibilmente preferire i bidet per i bambini piccoli”.
A suggello, prevedendo le dichiarazioni d’innocenza, una considerazione non astratta, fondata sull’esperienza: “Tutti diranno di avere sempre osservato queste regole; ma intanto le due vasche, anche negli anni piovosi, si vuotano sempre troppo rapidamente (troppo rapidamente in maiuscolo, ndr), con grave incomodo per gli ultimi rimasti a casa”.
Quando il Presidente, passeggiando tra i platani della sua dimora agreste, volgeva lo sguardo al Monviso, dove si annida la sorgente del Po, impensabili le odierne immagini di siccità, il fiume allora ruscellante come le parole di Mario Soldati che lo raccontava (che lo inneggiava) nel suo viaggio televisivo.
Alle chiare, dolci acque, Luigi Einaudi, parsimonioso come il padre esattore dalla ciotola rattoppata, rivolse latine meditazioni. Con il nipote Luigino, futuro diplomatico, ambasciatore, figlio del primogenito Mario, era solito leggere le Georgiche.
Scoprendo e riscoprendo, per esempio, che nelle campagne subalpine la trebbiatura del grano avveniva come ai tempi di Virgilio. Di tanto in tanto levando gli occhi verso le alture, con il poeta compiacendosi: “Quando sui monti candidi la neve si scioglie a primavera e al dolce vento tutta si schiude soffice la zolla”.
In difesa ostinata, inflessibile, dell’acqua, delle acque, il Presidente. Se è vero che nell’avviso-ordinanza esigeva anche (primo imperativo): “È assolutamente proibito (proibito in maiuscolo, ndr) lavare qualunque cosa, anche il più piccolissimo (piccolissimo in maiuscolo, ndr) fazzolettino da donna”. Forse con un’eccezione per lei, la signora Einaudi, donna Ida?
Nella foto d’antan tratta da La Repubblica, Luigi Einaudi con la moglie Ida Pellegrini