Dopo la seconda vittoria consecutiva dei Grigi, ottenuta fra l’altro in casa di una squadra disperata, siamo quintultimi (la posizione più confortevole per affrontare i playout) con la segreta speranza, nell’ultimo turno di campionato, di agganciare una squadra che ora occupa una posizione superiore. La (remota) fattispecie vorrebbe dire salvezza e, come abbiamo già avuto modo di dire, è l’unica “salvezza” che, al momento, è all’ordine del giorno, nonostante i presagi di sciagura imminente inoculati nella piazza dagli autoctoni sfascisti di professione (e pure di indole, diciamo noi). La prossima settimana, a bocce ferme, tenteremo di dare risposte a domande che riguardano i probabili futuri assetti della proprietà della società mandrogna, domande legittime che a nessuno passa per la zucca di fare. Alcuni certe domande non le pongono pubblicamente per non mettere in difficoltà gli ideologi del possibile nuovo corso, altri invece semplicemente perché non percepiscono che ci sono troppe cose “pelose” che, fra commercialisti di vaglia, tifosi con la coda di volpe sotto il braccio e altri abbacinati da soluzioni facili per problemi difficili, certe elementari verità non sono ancora state rese pubbliche. Ma quello che interessa adesso è che l’Alessandria (non è mai troppo tardi) stia diventando una squadra di calcio a tutti gli effetti. Sia chiaro: a Montevarchi si poteva pure perdere ma non è questo il problema perché sabato in Toscana la partita è stata gestita dai Grigi con personalità, equilibrio e volontà di far risultato. Vi ricordate quante partite abbiamo perso in questa stagione senza reagire dopo un episodio sfortunato? Avete a mente quante volte questo collettivo si “sfarinava” con il passare dei minuti? E l’idea di perdere una partita senza giocarsela era la sensazione costante di quella Alessandria non allenata e non gestita da Rebuffi. È evidente che Lauro è arrivato con colpevole ritardo perché, ancora una volta, Società, critica sportiva e pubblico non ci hanno capito una mazza. Lauro è come Mourinho? Crediamo di no, ma è sicuramente un allenatore che conosce il mestiere al contrario di quel “perdente di successo” di Rebuffi, il quale rappresenta il prototipo del personaggio di calcio che piace qui da noi. Rebuffi è un bravo allenatore si ma di presidenti, dirigenti, giornalisti e tifosi: quello che serve qui per avere successo e godere di buona stampa. E anche per questi motivi la nostra piazza, che ama definirsi dal “palato fine”, in realtà è un luogo nel quale si sono incenerte risorse mostruose per portare a casa si e no dei topolini. Il tutto avendo come totem dirigenti apicali ridicoli, tecnici incapaci e giocatori inadeguati e le pessime carriere di molti di essi lontano da qui sono a dimostrarlo. A una genìa di nostri tifosi Lauro non andava perché “coltivatore di fragole”, altri non funzionano perché hanno il ciuffo ribelle o le orecchie a sventola. Nessuno però ha mai riso di Rebuffi perché conducente di taxi. Adesso, dopo la vittoria in extremis ottenuta sabato scorso, c’è il rischio che, in un ambiente poco avvezzo al calcio, si pensi che ormai la salvezza sia cosa acquisita, che la prossima partita in casa contro un Cesena in lotta per la piazza d’onore sia pura formalità e che, nel caso, i playout sarebbero per noi una passeggiata di salute. Se così fosse sarebbe una volta di più dimostrato che questa piazza non merita niente. In cauda venenum: guardando la partita di Montevarchi per tv ho sinceramente ammirato quella ventina di tifosi Grigi che si sono cuccati una lunga trasferta e una giornata da tregenda per seguire la squadra. Eroi? A modo loro, e hanno tutta la nostra riconoscenza. Ma che dire allora dei 500 tifosi piacentini andati in trasferta domenica scorsa non certo per festeggiare una promozione ma per sperare di non rimanere ultimi in classifica?
Per i Grigi il difficile deve ancora arrivare
