Alessandria (Max Corradi) – La capacità di innovazione sociale delle Fondazioni bancarie sarebbe un modo efficace per la lotta alla povertà. Si va dal Rmi (reddito minimo di inserimento), al Rui (reddito di ultima istanza), alla Sc (Social card), al Sia (sostegno per l’inclusione attiva). Ma il problema è sempre lo stesso e consiste nei grandi ritardi delle erogazioni, nell’eccessiva burocratizzazione, negli errori decisionali e nell’insufficienza delle risorse professionali. I cittadini o le fasce sociali in condizioni di grave sofferenza devono essere assistiti e non lasciati soli. Servono nuovi modi per lottare contro la povertà, ben oltre gli aiuti assistenziali. È quindi necessario superare le “gestioni a costo” della solidarietà fiscale per trasformarle in “gestioni a investimento”, misurando i risultati, gli esiti, il costo e l’efficacia. A questo scopo servono nuove “responsabilità sociali in concorso”, per ridare speranza a chi si affaccia alla vita con mezzi insufficienti e ingiusti, evitando di regalare soldi a chi non produce niente e per i quali la Fondazione non ha un ritorno. Infatti dove altri non sono riusciti, possono farcela le Fondazioni di origine bancaria, perché in questi anni si sono misurate – o avrebbero dovuto farlo – con l’innovazione, mettendo in relazione gli investimenti coi risultati, impegnandosi a valutare gli esiti e l’impatto sociale. Un consiglio – se ci è concesso darlo – è fare meno manifestazioni del tutto di facciata e incidere fortemente nel tessuto sociale in crisi. Quindi meno conferenze stampa, meno mostre inutili, meno finanziamenti giganteschi senza ritorno economico, meno sponsorizzazioni ma più analisi delle varie situazioni e più ricerca. È quello che – ci sia concesso scriverlo – manca alla gestione delle Fondazioni bancarie come quelle piemontesi, o parte di esse, che puntano più ad apparire che a fare.
Le fondazioni bancarie devono combattere la povertà e non finanziare inutili eventi
