Lugano (da TVSvizzera.it) – Tracce di PFAS sono state trovate anche nell’acqua potabile. Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Nature Geoscience ha rivelato che i PFAS – le microparticelle sintetiche presenti in innumerevoli prodotti di uso quotidiano – sono molto più diffusi nell’ambiente di quanto non si pensasse sinora. Secondo un recente studio internazionale, la diffusione dei PFAS (acronimo che sta per “sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate) è stata finora sottovalutata. Di conseguenza, potrebbe essere stato sottostimato anche il rischio per la salute. Quest’ultimo aspetto, è ancora al centro di numerose ricerche, ma si ipotizzano già effetti negativi come danni al fegato, malattie della tiroide o tumori. Queste microparticelle sintetiche sono praticamente presenti in tutti gli ambiti della nostra vita poiché si trovano, per fare solo alcuni esempi, nei teli ignifughi, nei tessuti idrorepellenti, nelle padelle antiaderenti o ancora nelle creme per il viso o negli spray. Ne esistono 14.000 tipi differenti, ma sono solo due quelli finora messi al bando. I PFAS, una volta che finiscono nell’ambiente, rimangono nel terreno per secoli, se non addirittura millenni. Ricercatori e ricercatrici dell’Università di Sydney sono giunti a questa conclusione analizzando circa 45.000 campioni provenienti da terreni e acque sotterranee di tutto il mondo. Il team ha poi mappato le zone in cui sono stati registrati i valori più alti. Tra queste anche la Svizzera, dove tuttavia negli ultimi anni il valore massimo previsto dalla legge sarebbe stato superato una volta sola, nel Mendrisiotto. Uno degli aspetti più discussi è proprio quello dei valori limite. Questi – e le normative che li riguardano – variano da Paese a Paese, il che non fa che complicare la lotta a queste sostanze nocive. A questo proposito, proprio da inizio 2024 la Svizzera ha iniziato ad adattarsi – in alcuni casi – ai limiti imposti a livello europeo, più restrittivi rispetto a quelli elvetici. Si stanno ora studiando in tutto il mondo nuovi materiali che possano andare a rimpiazzare l’uso dei PFAS nocivi. Come in Ticino, dove a occuparsene è anche Andrea Castrovinci, professore in Materiali polimerici presso la Scuola universitaria della Svizzera italiana (SUPSI). Nel suo laboratorio si lavorasul nanocoating, ossia l’impermeabilizzazione superficiale dei tessuti. Cambiamenti di rotta che non sono solo necessari, ma che sono anche nell’interesse delle industrie come spiega Castrovinci ai microfoni della Radiotelevisione della Svizzera italiana RSI: “Molte aziende ci hanno contattati perché vogliono implementare [il nanocoating] nei loro prodotti”. I tempi affinché le alternative arrivino sul mercato a grande scala sono però ancora lunghi. Alcune soluzioni puntuali ci sono già, prosegue lo studioso, ma si tratta di mercati di nicchia. Ci vorranno però ancora anni di ricerche per poter sostituire “con qualcosa di altrettanto valido” la grande vastità di prodotti dove vengono utilizzati i PFAS. L’unica cosa che i consumatori, nel loro piccolo, possono già fare è di scegliere prodotti che riportano la dicitura “Privo di PFAS”. Per tutelare la propria salute, ma anche per inviare un chiaro segnale all’industria.