Novi Ligure (AL) – Piccola è bella: ecco in sintesi il concetto che sta alla base della salvezza della più grande azienda siderurgica italiana nata a Novi grazie alla genialità e alla lungimiranza delle grandi famiglie novesi dei Bonelli e dei Cavanna nella seconda metà del XIX secolo che hanno creato l’Ilva. Il piano d’impresa studiato a tavolino dallo staff del ministro Adolfo Urso prevede una produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, da realizzare sino al 2026 coi tre altiforni di Taranto e, nella seconda fase, dal 2027, con due forni elettrici e un altoforno. Il piano dei commissari di Acciaierie d’Italia è sostanzialmente pronto e sarà presentato presto alla commissione, con l’obiettivo di dimostrare che il gruppo merita il prestito pubblico di 320 milioni perché sarà in grado di restituirlo. All’incontro di ieri a Palazzo Chigi, oltre a Urso, erano presenti i ministri Marina Calderone (Lavoro), Giancarlo Giorgetti (Economia, in videocollegamento), il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e i commissari di AdI Giancarlo Quaranta, Giovanni Fiori e Davide Tabarelli. Il piano prevede la partecipazione di un partner industriale che dovrà traguardare la produzione siderurgica verso la normativa europea che impone la decarbonizzazione. Il governo conta di lanciare il bando per la vendita entro fine 2024, già nella seconda metà di maggio i pretendenti cominceranno a visitare gli impianti. Il piano prevede che la costruzione dei due forni elettrici cominci nel 2025 e termini due anni dopo: a partire dal 2027 l’ex Ilva produrrà 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, di cui 4 milioni da forni elettrici e 2 da altoforno. Nel frattempo il governo lavora sui fondi necessari a ripristinare la produzione collassata sotto la gestione di ArcelorMittal. Naturalmente il sindacato è critico in quanto la prospettiva tracciata non piace: “Abbiamo esposto al governo e ai commissari la condizione dei lavoratori all’interno degli impianti. Non siamo più disponibili a discutere di piani di lungo periodo, per noi vale l’accordo del 2018 e per realizzarlo servono le risorse adeguate – dice Michele De Palma, segretario generale Fiom – sta passando troppo tempo e le risorse non bastano. Le nozze con i fichi secchi non si fanno”.
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