Roma (di Francesco Lucrezi) – Nella scorsa puntata della nostra ricognizione sul grande libro di Emanuele Calò su La questione ebraica nella società postmoderna abbiamo affrontato il torbido e controverso problema di quello che l’autore definisce “un’operazione di degiudaizzazione degli stessi ebrei, quale strumento incruento per liberarsene”. Come emblematico esempio (non certo l’unico, ma uno dei più conosciuti) di questo fenomeno, Calò cita il caso di Slomo Sand, cattedratico ebreo e israeliano, da molti anni bandiera dei più beceri antisemiti, che dalle sue parole si vedono legittimati a rovesciare non solo sullo Stato d’Israele, ma sull’intero popolo ebraico qualsiasi tipo di accusa, comprese le più assurde e farneticanti. Nei suoi scritti, infatti – a cominciare dal surreale The Inventing of the Jewish People -, Sand non fa altro che ripetere una sola cosa: gli ebrei, come popolo, non esistono, perché quelli di oggi non hanno nessun legame (etnico, nazionale, culturale, religioso) con quelli di ieri, della cui storia mitica (quella della Bibbia, di Abramo, Mosè, Davide ecc.) si sarebbero abusivamente appropriati. Quella del popolo ebraico non sarebbe altro che un’invenzione, quel popolo, in realtà, non esiste, e – come qualsiasi cosa inesistente – non può quindi vantare, ovviamente, alcun diritto, tanto meno, figuriamoci, il diritto a uno stato. Come può esistere uno stato per un popolo che non esiste? Vera e propria musica per gli antisionisti e gli antisemiti. Se lo dice un ebreo israeliano, non lo possiamo dire anche noi?
Ho scritto che Sand non meriterebbe di essere sottoposto a critica scientifica, ma soltanto ad analisi psichiatrica, trattandosi di un evidente caso da neurodeliri. Ma ho anche aggiunto che, paradossalmente, alcune cose che dice possono anche avere le sembianze di una sorta di “verità”, o “verosimiglianza”. Cercherò di spiegare il concetto.
Il grande Sergio Della Pergola (anche lui, per puro caso, appartenente al “popolo che non esiste” e al “Paese che non ha diritto ad esistere”) ha gioco fin troppo facile nel demolire i deliri del “Collega” (non sul piano accademico, ma su quello dell’“inesistenza”) con poche frasi, riportate da Calò: “Shlomo Sand vuole strafare e come prova della supposta fallacia dei miti della storia ebraica non trova di meglio che appoggiarsi ad altre mitologie non meno problematiche. Ecco dunque rispuntare il bidone della commistione tra ebrei e Kazari, reso popolare negli anni ’70 da Arthur Koestler e sostenuto da alcuni linguisti come Paul Wexler, ma smentito clamorosamente dagli ultimi studi di genetica delle popolazioni…”.
Ma Sand non meriterebbe le confutazioni scientifiche del grande demografo, perché egli si pone su un piano completamente diverso, che definirei da “tiro a segno del luna park”.
Il grande storico e filosofo Yuval Noah Harari (da alcuni considerato un grande divulgatore, ma secondo me davvero geniale; e anch’egli, sempre per caso, membro del club degli “inesistenti”) potrebbe fornire a Sand degli argomenti molto utili su cui appoggiare le sue farneticazioni, che, così, potrebbero diventare dei ragionamenti opinabili, ma comunque seri. Nel suo ultimo, bellissimo libro Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’I.A., Harari spiega come i Sapiens si siano differenziati da tutte le altre specie animali, molti millenni fa, per la loro capacità di costruire storie, e di crederci. La Bibbia, l’Islam, la politica, le nazioni, il mercato e tutto quello di cui noi parliamo e a cui facciamo riferimento non sono altro che “storie”, che, al di là di essere vere o false, belle o brutte, hanno tutte in comune la capacità di mettere gli uomini in connessione, di creare delle, più o meno grandi o piccole, reti di informazione. Chiunque sia nato in un Paese cristiano, sia ateo o credente, non può non riconoscersi, in qualche modo, nelle storie del cristianesimo, che sono conosciute anche al di fuori dello spazio della cristianità. E tutti gli otto miliardi di abitanti del pianeta, continua Harari, credono nello scambio, sanno che tutto di può vendere e comprare. Ma anche il mercato non è altro che una storia, non è una realtà tangibile.
Tra queste storie, certamente, ci sono anche quelle che fondano i popoli, le nazioni, gli stati. Cosa accomuna, per esempio, gli italiani? Romolo e Remo, Garibaldi, il tricolore, la Costituzione, la carta d’identità, la cucina, il gioco del calcio? Esiste forse qualcosa di oggettivo, di biologico che ci accomuna? Ovviamente no. Siamo semplicemente parte di una rete di informazioni, siamo “connessi” da tante storie. Gli italiani, come realtà ontologica, semplicemente, non esistono.
E quindi, se non esistono gli italiani, si può benissimo dire che non esistono neanche gli ebrei e gli israeliani.
Sand, quindi, può benissimo avere ragione. Solo che lui è agli antipodi dalle stimolanti intuizioni di Harari, dal momento che si comporta, appunto, come un bambino in un tiro a segno di luna park. Il gioco funziona, in genere, in modo da attribuire tanti più punti quanti più pupazzi riesci a colpire. Ma in questo luna park, al posto dei pupazzi, ci sono, stranamente, dei popoli. E, se ne colpisci uno, non vinci un gettone o un giocattolino, ma hai la soddisfazione di poter dire che quel popolo non esiste. Chirghisi, serbi, curdi, esquimesi, cechi, mongoli, boemi, ciprioti, lettoni, baschi e centinaia di altri, perfino (incredibile ma vero) ebrei.
Il bambino Sand ha un’ottima mira, ma, chissà perché, si diverte sempre e solo a impallinare un solo popolo, molto piccolo, e non tanto importante. Colpito ormai da milioni di pallini di gomma, l’inesistenza del quel popolino dovrebbe essere un dato più che assodato. Perché il bambino continua a impallinarlo? Forse è un po’ ottuso?