di Giusto Buroni – I treni green della Bassa Sassonia (Germania) si sono rivelati un “flop”. Il servizio passeggeri (progetto pilota) inaugurato nel 2022 è in grave difficoltà operativa: produrre e gestire “idrogeno verde” richiede investimenti elevati e infrastrutture complesse. La ferrovia regionale che aveva promosso il progetto ha deciso di puntare sui treni a batteria, più economici e facili da integrare nella rete esistente. Il progetto, fallito (da 500 Milioni), è lo stesso previsto per la Val Camonica (400 Milioni dal PNRR) e il fallimento peserà soprattutto sul costruttore dei treni Coradia Alstom, che dovrà rivedere le previsioni di vendita. Le stesse difficoltà si presenteranno nel Baden-Wuttenberg e in altre regioni tedesche dove i treni a diesel saranno sostituiti da treni a batteria, perché quelli a idrogeno hanno: costi operativi elevati, frequenti guasti alle celle a combustibile, rifornimento (di idrogeno) più lento e infrastrutture per la ricarica/rifornimento più complicate (anche pericolose). E per la Valcamonica, se si insisterà con l’idrogeno, il costo del combustibile sarà ancor meno conveniente che in Germania, perché sarà prodotto in minor quantità da almeno tre imprese, e a partire dal metano invece che dagli scarti di industrie chimiche come avviene in Germania.
Io critico la “tecnologia dell’idrogeno” dai primi anni 2000, quando (a pochi passi da casa mia, presso l’Università Bicocca) davanti a una piccola folla di curiosi e alla presenza di Stampa e TV, Formigoni, Albertini (e Cerrai, allora presidente di ZINCAR, prima casa produttrice di idrogeno) finsero, letteralmente, di inaugurare il Primo Distributore Italiano di Idrogeno liquido, facendo il pieno a due FIAT Doblò e guidandole personalmente per due decine di metri (e non di più, perché l’area che doveva diventare sede del distributore era allora, più di oggi, coperta di sterpaglie). Era presente, con intenzioni minacciose (megafoni, bandiere e campanacci), la delegazione dell’Alfa Romeo di Arese, che, ormai condannata alla chiusura, chiedeva stupidamente, ma fermamente, di diventare “Il polo italiano dell’idrogeno”, in cui credeva ciecamente grazie alle rassicurazioni che in quei giorni forniva… Beppe Grillo, uno dei grandi scienziati su cui l’Italia Verde conta tuttora (dicono che ispiri fiducia perché per questi problemi si appoggia a nientemeno che “ingegneri svizzeri”). L’idrogeno prodotto dall’Università Bicocca era ricavato con una certa facilità dal metano (il “gas di città”), quindi producendo CO2, quindi tutt’altro che “verde”, ma nessuno a quel tempo volle fare caso al non trascurabile particolare (si prometteva di sostituire quanto prima il metano con pulitissima e economicissima acqua). E fu così che provvisoriamente il “pieno” di idrogeno (liquido) si fece attingendolo da piccole bombole fornite da BMW. Il giorno seguente si cercò di cancellare ogni traccia della maldestra messinscena: si smontarono gazebo ombrelloni e totem installati per l’occasione, le FIAT Doblò furono riportate in garage nel faraonico edificio dove si pretendeva di “fabbricare” il prezioso gas, e l’idrogeno avanzato (quasi tutto) fu rispedito in Germania. Del Distributore di Idrogeno si parlò ancora (ma niente si costruì) negli anni successivi, la Zincar fallì nel 2009, quando la fabbrica (di proprietà di AEM) passò ad A2A ,che la cedette infine all’Università Bicocca che, coi soliti “fondi per la ricerca”, provvide a bonificare, a ristrutturare e a festeggiare una nuova sgangherata “inaugurazione”, che questa volta passò inosservata, perché ormai più nessuno credeva all’idrogeno, eccetto forse Salvini che se ne esce ancora oggi con promesse di svilupparlo, associandolo, chissà perché, al “nucleare” (forse perché di entrambi sa solo, e a malapena, il nome). Comunque l’Università Bicocca lavorò così bene da ottenere il finanziamento per lo sviluppo di una fabbrica a Cernusco per idrogeno elettrolitico (200 nuovi posti di lavoro…). Di essa si è parlato una sola volta l’anno scorso per la posa della prima pietra, poi più niente. È in questo scenario che si pone la notizia del totale fallimento della tecnologia dell’idrogeno in Germania, che non può non avere conseguenze sullo sviluppo, appena ripreso, dell’idrogeno in Italia. Per di più il treno della Val Camonica inaugurato da Salvini non più di un anno fa, sostituendo le motrici diesel sulla vecchia linea non ancora elettrificata, era collegato commercialmente alla rete a idrogeno della Bassa Sassonia, e rischia di seguirne le sorti, tornando alle motrici a Diesel o nel migliore dei casi alle batterie. Non so altresì immaginare come saranno riconvertiti i vaporetti veneziani alimentati con l’idrogeno che si diceva prodotto negli ex impianti chimici di Porto Marghera, né la sorte degli autobus (con serbatoio predisposto per lo stesso idrogeno dei vaporetti) che tante vittime hanno fatto precipitando anche dai cavalcavia, e incendiandosi, a Mestre; e infine i nuovissimi traghetti (a idrogeno) finanziati col Pnrr ed entrati in servizio recentissimamente sul lago di Como.
Automotive e trasporti: dopo il fallimento dell’elettrico ora c’è quello dell’idrogeno
