Torino – Pochi giorni fa il Tribunale di Torino ha condannato in primo grado la Città della Salute di Torino a risarcire la moglie e le due figlie di Giovanni Fresia che nel 2019 morì a 59 anni perché durante il trasporto in ambulanza fu sottoposto a un trattamento sanitario inadeguato. Fu sedato (come in un Tso) contro la sua volontà dal personale del 118. Gli fu somministrata una dose troppo elevata di tranquillanti tale da indurgli quasi un’anestesia generale. L’anestesista quel giorno non c’era. Il medico e l’infermiere avrebbero dovuto intubarlo per proteggere le vie aeree: non lo fecero. Lo misero sulla barella in posizione supina e non di sicurezza sul lato, lui ingurgitò il proprio vomito, soffocandosi. La famiglia ha avviato una causa civile nei confronti di Città della Salute da cui dipendeva il servizio di emergenza118. L’azienda si è costituita in giudizio negando ogni tipo di responsabilità. Ma dagli accertamenti è emerso il nesso di causalità tra la condotta degli operatori del 118 e la morte di Fresia. L’uomo era da tempo in cura per un disturbo della personalità.
I fatti risalgono alla notte del 25 ottobre 2019 quando Fresia, dipendente comunale a Collegno, aveva detto alla moglie di sentirsi male chiedendole di chiamare il 118. Lo portarono all’ospedale di Rivoli.
Ai familiari è stato riconosciuto un risarcimento di quasi un milione di euro, mentre il procedimento penale è stato archiviato dalla Procura.
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