Alessandria – Il primo fine settimana di riaperture ha fatto i conti con molti disagi per code e rallentamenti lungo la rete autostradale fra Liguria e Piemonte. Il motivo è sempre lo stesso, ossia il cronico problema delle gallerie che devono essere sottoposte a lavori di ristrutturazione che non si fanno mai e quando si fanno, si fanno male.
Nel 2004 i tecnici della società Spea Engineering, gruppo Atlantia come Autostrade, si scrivevano senza mezzi termini via mail “non si fa” in riferimento ai dichiarati test nei tunnel.
Sei anni dopo la situazione non era cambiata, tanto che dirigenti e tecnici erano preoccupati di ciò che avrebbero potuto pensare i “colleghi” della committente Aspi.
Giampaolo Nebbia, dirigente Spea, nel marzo 2010, rispondendo a un sottoposto di Genova che gli chiedeva notizie proprio sulle ispezioni, aveva scritto una mail che undici anni dopo, per i pm che indagano sul crollo del viadotto Morandi di Genova, è eloquente e dimostra come la sicurezza sulle infrastrutture non fosse una preoccupazione.
Secondo quanto scoperto dalle Fiamme Gialle dirette dai colonnelli Ivan Bixio (Primo Gruppo) e Giampaolo Lo Turco (Nucleo metropolitano), che hanno trovato quelle comunicazioni, è chiaro come la preoccupazione dei vertici di Spea “non sia tanto nella rilevante diminuzione di sicurezza e dei conseguenti rischi per gli utenti, quanto nel far sapere alla committente Aspi che le ispezioni non venivano eseguite”.
Per gli inquirenti le ispezioni nelle gallerie tra Piemonte e Liguria non sono state mai eseguite fino al dicembre del 2019 quando dalla galleria Bertè, sulla A26 nelle vicinanze di Masone, si staccarono circa due tonnellate e mezzo di detriti, col rischio di una nuova strage a un anno e quattro mesi dai 43 morti del viadotto Polcevera.
Secondo quanto scoperto dagli investigatori, i tecnici Spea avevano ribadito in altre mail che era praticamente impossibile fare le ispezioni trimestrali di sicurezza, previste dalla legge, nei tunnel.
Nel 2004 Marzo Vezil, l’ingegnere genovese che aveva segnalato ai superiori l’impossibilità di ispezionare il viadotto sul Polcevera, che aveva inchiodato i vertici di Aspi registrando di nascosto le riunioni anche prima del crollo del viadotto e che per punizione era stato poi trasferito sotto il Monte Bianco, a controllare il Raccordo Autostradale Val d’Aosta, scriveva: “Per ispezionare le gallerie o si riesce a sfruttare qualche segnaletica del Tronco per propri cantieri o si fa passando a bassa velocità… così in pratica non si fa”.
Vezil aveva chiesto “un rapporto più stretto col Tronco” invitando Aspi “a lavare le gallerie per permettere agli ispettori di vederne i difetti anche da terra”. Le nuove carte evidenziavano poi tentativi di aggiustare le relazioni sullo stato di criticità del Ponte Morandi. Tutto questo dopo che nel dicembre del 2009, ben nove prima del crollo, Carlo Casini, capo degli ispettori di Spea a Genova, dopo un accertamento aveva inviato una mail ai suoi capi in cui si parlava di “buchi nel calcestruzzo”, di “guaine deteriorate” e di “rumore sordo delle travi”.
Casini aveva concluso affermando “Non credo che per il momento ci siano problemi strutturali, almeno credo” e Aspi, dopo aver ricevuto la relazione, non solo non intervenne ma addirittura chiese allo stesso Casini di cambiare il documento poiché “troppo allarmistico”.
Secondo quanto scoperto dalle Fiamme Gialle a spingere affinché si compisse il falso fu Paolo Agnese, responsabile allora della direzione tecnica del Primo tronco e indagato per il crollo del Morandi. Lo rivela via mail a un collega, spiegandogli che nella relazione di Casini sul Polcevera e sulla galleria Coronata c’erano dei punti da rivedere e aggiungendo che ha letto delle cose “che non dovrebbero esserci e che ci siamo sempre detti di non scrivere. Devo sentire al più presto Casini e uniformarlo al metodo che abbiamo sempre adottato anche se mi ha dato fastidio dirgli di attenuare certe cose” aveva detto Agnese.